La manifestazione del 26 marzo del 1982 dimostrò che il sindacato stava ritrovando le forze per riemergere dalla sconfitta alla Fiat dell'ottobre 1980.
«Il profilarsi di un vero e proprio processo di deindustrializzazione del nostro paese, la sua collocazione sempre più marginale all'interno della divisione internazionale del lavoro, l'incapacità mostrata di affermarsi sul mercato internazionale e le enormi carenze che registriamo proprio sul terreno dell'innovazione tecnologica e della ricerca impongono al movimento sindacale, e a tutte le forze progressiste interessate al cambiamento, di misurarsi, attraverso precise scelte di politica economica e industriale, con il gravissimo attacco all'occupazione in atto e con il carattere recessivo dei processi di ristrutturazione. Proprio questi sono stati i temi al centro della nostra grande manifestazione, la cui piena riuscita è testimonianza della volontà che anima i lavoratori metalmeccanici nella lotta per un nuovo sviluppo economico e sociale del paese e per riaffermare il valore della propria pratica negoziale. Il governo si dimostra disponibile ad assecondare le scelte del padronato…, mentre nei confronti dei lavoratori emergono atteggiamenti intolleranti e sostanziali rifiuti alle loro richieste di cambiamento. La nostra opposizione alla linea di politica economica va marcata con estrema fermezza: l'assenza di un negoziato che risponda alle richieste costruite dal sindacato… non potrà che essere contrastata.» (in «Flm notizie», supplemento al n.0, aprile 1982)
«Lo straordinario successo di partecipazione alla manifestazione dei metalmeccanici testimonia l'adesione agli obiettivi per i quali la Flm ha proclamato lo sciopero generale della categoria, anch'esso pienamente riuscito, al di là di alcuni punti di debolezza che pure si sono verificati. I lavoratori metalmeccanici hanno dimostrato piena coscienza della gravità della crisi: contro di essa e la politica recessiva che l'alimenta hanno inteso dimostrare al governo l'urgenza di invertire la rotta con scelte di politica economica e industriale chiaramente finalizzate allo sviluppo e alla difesa dell'occupazione. In questa situazione la Confindustria ha la grave responsabilità di imprimere alla crisi un carattere apertamente anti-operaio e anti-sindacale, operando ricatti sulla sicurezza del posto di lavoro, anche mediante l'uso dilagante della Cassa integrazione, e sul salario. Ciò conduce inevitabilmente a un imbarbarimento delle relazioni industriali. L'espressione più inaccettabile di questa politica è appunto la minaccia di non aprire trattative per i rinnovi contrattuali. (…) Si apre una fase di ripresa dell'iniziativa unitaria del sindacato. Su queste basi, noi riteniamo che sia possibile accelerare il superamento delle difficoltà che in passato non hanno consentito la piena efficacia dell'azione unitaria. » (in «Flm notizie», n.0, marzo 1982)
La piattaforma contrattuale fu varata il 6 aprile 1982. Proprio la sconfitta sindacale alla Fiat dell'80, accompagnata da una crisi economica rilevante, costituiva «un terreno favorevole per un'offensiva confindustriale sul costo del lavoro. Si era già aperto un contenzioso tra Flm e Federmeccanica sulla mancata applicazione della parte relativa alla riduzione d'orario, stabilita nel rinnovo del '79. Nei fatti le trattative si interruppero subito per effetto delle pregiudiziali di Federmeccanica e Confindustria che bloccarono tutti i rinnovi contrattuali delle diverse categorie. Nel mese di gennaio dell'83 si raggiunse un accordo tra governo, Confindustria e Cgil-Cisl-Uil, il protocollo del 22 gennaio 1983, detto anche Protocollo Scotti, dal nome del ministro del Lavoro in carica. L'accordo modificava il valore punto della contingenza, diminuendone del 15% il grado di copertura. Nello stesso accordo erano stabiliti alcuni vincoli e modalità per i rinnovi dei Ccnl; in pratica fu un primo tentativo di "politica dei redditi" accompagnata da misure fiscali favorevoli ai lavoratori e iniziative sull'occupazione. L'intesa raggiunta non sbloccò però le trattative contrattuali, per cui il 24 marzo '83 fu proclamato uno sciopero generale. (…) Soltanto dopo tre scioperi generali, 200 ore di astensione al lavoro, con una scarsa partecipazione dei lavoratori della Fiat, le elezioni politiche e il cambio di governo (si era insediato il governo Craxi) fu firmato il rinnovo del contratto il 1° settembre 1983. La delegazione della Flm era guidata da Pio Galli e Ottaviano del Turco (Fiom), Raffaele Morese (Fim), Franco Lotito (Uilm)». (Metalmeccanici, pag. 30)
Se nell'accordo l'aspetto salariale non si distanziò dalle richieste iniziali, furono modesti i risultati relativi agli orari di lavoro (40 ore di riduzione in due scaglioni). La verifica, a fine 1983, dell'attuazione del Protocollo Scotti ebbe effetti dirompenti. Il governo propose un'ulteriore riduzione dell'incidenza della scala mobile, compensata da provvedimenti paralleli di blocco dell'equo canone (un anno) e dei prezzi amministrati (tre mesi). Cisl e Uil insieme alla componente socialista della Cgil si trovarono favorevoli alla proposta, ma l'ala comunista della Cgil espresse fortemente il suo dissenso. «Il governo recepì i consensi ma non si procedette alla firma di un nuovo protocollo per non dare la brutta impressione di un accordo "separato" (14 febbraio 1984). Il ricorso alla decretazione, accompagnato dall'ostruzionismo comunista in Parlamento, determinò fortissime tensioni che coinvolsero tutto il sindacato dai massimi dirigenti fino alle strutture di base.» (Flm, la storia, le immagini, pagg. 43-44)
Tutti conosciamo gli sviluppi della vicenda. La Flm cessò di esistere alla fine dell'84, dopo un'analoga decisione della Federazione Cgil-Cisl-Uil.