Venerdì, 13 Dicembre 2024

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Italia, radiografia di un paese diseguale

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Tra le cause dell’elevata diseguaglianza di reddito che caratterizza l’Italia, spesso vengono menzionati gli ampi divari territoriali, ovvero le rilevanti differenze nel tenore di vita medio fra le varie aree geografiche. In questo articolo, si cercherà di stabilire l’importanza di tali divari, calcolando, sulla base dei micro-dati raccolti per l’Italia nell’indagine EU-SILC (European Union Statistics on Income and Living Conditions), quanta parte della diseguaglianza registrata sia effettivamente attribuibile ai divari territoriali e valutando se, durante la crisi, sia cresciuto il ruolo svolto da tali divari nel determinare la dispersione del tenore di vita dei cittadini residenti in Italia.

Per valutare il benessere economico e la sua distribuzione all’interno di una popolazione si guarda, solitamente, al reddito disponibile equivalente, ovvero alla somma di tutti i redditi di mercato, quale che ne sia la fonte (lavoro dipendente e autonomo, capitale, rendita), percepiti dai membri di un nucleo familiare, al netto delle imposte e al lordo dei trasferimenti, resi equivalenti per tenere conto, mediante le apposite scale, della diversa dimensione dei nuclei familiari. In base a questo indicatore, dai dati Eurostat risulta che nel 2012 l’Italia era fra i paesi più diseguali nell’Unione Europea a 15, superato unicamente dagli altri tre paesi del Sud Europa, Spagna, Portogallo e Grecia (come documentato da FraGRa in questo numero del Menabò, ancor più alta risulta la diseguaglianza nel nostro paese se si guarda ai redditi equivalenti di mercato, senza tenere quindi conto dell’effetto progressivo legato a imposizione fiscale e trasferimenti di welfare).

Semplici elaborazioni sui dati EU-SILC sui redditi disponibili equivalenti rilevati nel 2006 e 2012 confermano che è ampio, e lievemente crescente nel corso degli ultimi anni, il divario dei redditi medi dei cittadini residenti nelle cinque macro-aree territoriali che compongono il nostro paese (Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud e Isole). Tutto ciò è mostrato nella Figura 1, dalla quale risulta anche che, come atteso, i redditi medi a prezzi costanti si sono ridotti ovunque durante la crisi. Nel 2012 il reddito medio del Sud e delle Isole risultava pari, rispettivamente al 68,5% e al 65,0% di quello registrato nel Nord Ovest e il divario è aumentato durante la crisi (nel 2006 i corrispondenti

 

Figura 1: Reddito medio disponibile equivalente nelle macro-aree italiane nel 2006 e nel 2012 (valori a prezzi costanti 2015)

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Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC

 

Per valutare l’impatto del divario Nord-Sud sulla distribuzione dei redditi è però del tutto insufficiente guardare alle sole differenze nei redditi medi; infatti, occorre focalizzare l’attenzione sull’intera distribuzione dei redditi all’interno di ogni macro-area territoriale. La distanza media fra i residenti nelle varie parti del nostro paese – che indichiamo di seguito come diseguaglianza “between” – è certamente importante, soprattutto qualora si intenda ragionare sulle cause dell’arretratezza economica del Mezzogiorno. Tuttavia, la diseguaglianza complessiva dipende anche dalle distanze che separano gli individui residenti nella stessa macro-area, cioè dalla diseguaglianza all’interno di questa, che di seguito indichiamo come diseguaglianza “within”. Ben diverso sarebbe, ad esempio, l’impatto sulla diseguaglianza complessiva dei divari territoriali se, all’interno della macro-area più povera, un basso livello di reddito medio si accompagnasse a redditi relativamente omogenei rispetto al caso in cui le basse medie emergessero in un contesto di elevata polarizzazione, ovvero in presenza di una quota molto numerosa di molto poveri e di una quota rilevante, seppur meno numerosa, di molto ricchi.

In realtà, dai dati a nostra disposizione risulta evidente che il Mezzogiorno è caratterizzato da una diseguaglianza interna ben più elevata di quella del resto del paese (per un approfondimento a livello regionale si rimanda a Franzini e Raitano, “Il Mezzogiorno come realtà disomogenea: dal reddito medio pro capite alla disuguaglianza interna”, Rivista delle Politiche Sociali, 2010). Guardando ai redditi disponibili equivalenti (Figura 2), in un contesto di sostanziale stabilità dei valori registrati nel periodo in esame, nel 2012 l’indice di diseguaglianza di Gini – che, si ricordi, varia fra 0 nel caso di equidistribuzione e 1 nel caso di massima concentrazione dei redditi – risultava infatti pari, rispettivamente nel Sud e nelle Isole, a 0,339 e 0,351, mentre era nettamente inferiore nel Centro (0,318), nel Nord Ovest (0,311) e, in particolar modo, nel Nord Est (0,292). E’ da sottolineare che, malgrado il dato complessivo dell’Italia risenta anche della differenza dei redditi medi percepiti nelle diverse aree del territorio, il valore dell’indice di Gini nel Mezzogiorno risulta ben superiore a quello registrato sull’intero territorio nazionale (pari a 0,329 nel 2012). A conferma dell’elevatissimo livello di diseguaglianza all’interno del Mezzogiorno, va evidenziato, inoltre, che fra i paesi dell’intera Unione Europea nel 2012 solo in Bulgaria e Lettonia si è registrato un livello dell’indice di Gini comparabile a quello della Sicilia e della Sardegna.

 

Figura 2: Indice di diseguaglianza di Gini dei redditi disponibili equivalenti nelle macro-aree italiane nel 2006 e nel 2012

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FFonte: elaborazioni su dati EU-SILC

 

Questi dati ci forniscono, dunque, una prima chiara evidenza del fatto che per valutare livelli e determinanti della diseguaglianza non è affatto sufficiente guardare solo ai divari territoriali medi, dal momento che in Italia sono proprio le aree economicamente più depresse a essere caratterizzate dai più elevati livelli di sperequazione dei redditi al proprio interno.

Ulteriori elaborazioni ci consentono di misurare con precisione quale parte della diseguaglianza complessiva dipenda dai divari medi – ovvero dalle distanze “between” gruppi di individui residenti in diverse aree geografiche – e quale dipenda, invece, dalla dispersione che si registra all’interno di ogni area – ovvero dalle distanze “within” gruppi di individui residenti nella stessa area geografica. A tal fine, come è prassi nelle analisi sulla diseguaglianza, facciamo uso dell’indice di Theil, che gode della proprietà di poter essere perfettamente scomposto per sottogruppi; cioè, il valore dell’indice di Theil, diversamente da quello del più noto indice di Gini, può essere espresso come somma ponderata della componente “between” e della componente “within”. La prima è calcolata costruendo una distribuzione fittizia in cui ciascun individuo riceve esattamente il reddito medio dell’area in cui risiede; pertanto, la diseguaglianza calcolata con riferimento a tale distribuzione fittizia misura la dispersione dovuta ai divari territoriali. La seconda è, invece, espressa come media ponderata dei valori degli indici di diseguaglianza registrati all’interno di ognuna delle cinque macro-aree (nel calcolo della componente “within”, alla diseguaglianza di ogni macro-area si attribuisce un fattore di ponderazione pari al rapporto tra il suo reddito e quello totale del paese).

Esprimendo i valori degli indici di diseguaglianza “within” e “between” come quota del valore dell’indice complessivo, la scomposizione, così effettuata, segnala che in Italia i divari territoriali medi, pur molto ampi, contribuiscono a spiegare una quota davvero esigua della diseguaglianza complessiva: poco più del 6% nel 2012 (Figura 3). Inoltre, la quota di diseguaglianza legata alle differenze medie fra macro-aree è rimasta sostanzialmente stabile fra il 2006 e il 2012. Ciò vuol dire che circa il 94% dei differenziali di reddito disponibile dei residenti in Italia è imputabile non ai divari territoriali, ma alle diseguaglianze che si registrano all’interno di ciascuna macro-area.

In altri termini, se si eliminassero del tutto i divari medi fra aree lasciando, però, immutate le differenze che si registrano al loro interno (ad esempio, moltiplicando o dividendo tutti i redditi dei residenti nelle diverse aree – indipendentemente dal livello di reddito di partenza – per il differenziale fra il reddito medio dell’area e quello italiano), la diseguaglianza in Italia si ridurrebbe di soli 6 punti percentuali e, nella graduatoria dei paesi dell’Unione Europea a 15 a più alta diseguaglianza, l’Italia non migliorerebbe la propria posizione, rimanendo saldamente al quarto (peggior) posto.

 

Figura 3: Scomposizione per macro-aree geografiche dell’indice di diseguaglianza di Theil dei redditi disponibili equivalenti nel 2006 e nel 2012.

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FFonte: elaborazioni su dati EU-SILC

 

Da queste semplici elaborazioni risulta, dunque, evidente come sia del tutto insoddisfacente una chiave interpretativa che minimizzi la gravità delle diseguaglianze che caratterizzano il nostro paese e le attribuisca principalmente, o anche unicamente, ai divari territoriali – forse anche in base all’assunto implicito che a preoccupare debbano essere soltanto i livelli di povertà, che, come è noto, sono ben più elevati nel Mezzogiorno. Al contrario, come si è spesso sottolineato sul Menabò, la diseguaglianza è un fenomeno molto complesso, influenzato da molteplici determinanti, che spesso agiscono in interazione fra loro producendo un potente effetto cumulato di accentuazione delle disparità. Focalizzarsi su un unico fattore, seppur rilevante, rischia di nascondere questa complessità con effetti rassicuranti per chi vuole promuovere, nel migliore dei casi, ricette di policy semplici, solitamente non soggette a obiezioni. Così si finisce, tuttavia, per nascondere le gravi responsabilità che le scelte politiche, in particolare quelle che incidono sul funzionamento dei mercati, hanno sugli  elevati livelli attuali della diseguaglianza. E, seguendo questa strada, si rischia di non spiegare adeguatamente il fenomeno e, quindi, di non rendere un buon servizio alla politica che dovrebbe contrastare la diseguaglianza.

 

*Sbilanciamoci.info

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