La forza del sindacato nel deserto della politica

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Una crisi nella crisi. Prima due anni di pandemia, con strascichi importanti ancora in corso in termini socio-sanitari, poi l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia di Putin che ha portato con sé, oltre alla tragedia umanitaria in Est Europa, conseguenze pesantissime in gran parte delle economie occidentali e nella nostra in particolare, dipendente com'è dal gas russo. Il mondo dei lavoratori, stretto nella morsa del carovita, della precarietà e degli incidenti sui luoghi di lavoro che non accennano a diminuire, si prepara a celebrare il Primo maggio del 2022 dovendo fare i conti con uno dei momenti più complessi della storia recente del nostro Paese. Ne parliamo con Michele De Palma che all'inizio di aprile è stato eletto segretario generale della Fiom-Cgil.

Nel 2021 l’Inail segnala che 1.221 persone sono morte sul posto di lavoro. E nel 2022 i morti sono già 114. Se calcoliamo, come fa l’osservatorio indipendente di Bologna, anche i lavoratori senza contratto si sale a quasi 200. Cosa deve fare l'Italia per prevenire questa carneficina?
Il dramma delle morti sul lavoro non è soltanto una questione tecnica o almeno non possiamo affrontarla solo con questa visione. È la conseguenza di scelte politiche precise che hanno radici antiche. C'è chi la chiama emergenza ma da anni ormai non può essere considerata tale, poiché non è più un fatto straordinario, ma una triste consuetudine. La verità è che ci siamo abituati all'idea che il lavoro porti con sé il rischio di morire, di contrarre malattie professionali o di avere infortuni gravi e tutto questo è successo per una ragione di fondo: perché come sistema-Paese abbiamo perso la centralità del tema del lavoro e delle persone che lavorano. In una situazione di ricattabilità, e mi riferisco in primis al lavoro precario ma anche a tutto il sistema di appalti e subappalti, la vita stessa dell’operaio è messa in pericolo, poiché la sua sicurezza è messa in secondo piano dalla paura di perdere l’impiego. Questo processo di svalorizzazione è stato soppiantato da una valorizzazione di altri elementi come il profitto, la rendita e la capacità di guadagnare denaro senza nessuna responsabilità né nei confronti della società né nei confronti dell'ambiente. E i risultati di questa perdita di valori sono quelle che una volta si chiamavano morti bianche, come a indicare che non ci fossero colpe, ma che hanno dietro una responsabilità delle imprese.

Il rapporto tra fabbrica, lavoro e ambiente è sempre stato complesso. Sebbene oggi si sia preso coscienza di essere a un passo dal punto di non ritorno con il surriscaldamento climatico, il sistema Italia stenta a prendere misure concrete.
Questo processo non si determina per una ragione ben precisa. Nella storia del nostro Paese, penso all'Ilva di Taranto come esempio cardine, c'è stata una grandissima profittabilità da parte delle varie proprietà che si sono succedute. Il punto è che quella rendita che è stata costruita sulla produzione degli operai, non è stata investita in processi di ambientalizzazione. Questo è sempre stato il punto di scontro che noi abbiamo avuto col sistema delle imprese in Italia, tranne rare eccezioni. Non ci sarà mai un anno zero su questo tema, un prima o un dopo. La riconversione industriale è un processo che dovrebbe essere costante, prevedendo investimenti a lungo termine sugli impianti e sul rapporto fra questi e il territorio.

Per la Fiom quale potrebbe essere una strada da percorrere?
Per noi sarebbe necessario, per ridurre le emissioni di co2 e per determinare l'autosufficienza energetica, investire in energia eolica o energia solare sugli impianti industriali. Perché in una situazione di emergenza, come quella che stiamo vivendo, passare dalla dipendenza dalla Russia alla dipendenza dall'Egitto, non è proprio una scelta neutra dal punto di vista del raggiungimento degli obiettivi di emissione climatica. Noi avremmo bisogno di produrre batterie anche a idrogeno, pannelli fotovoltaici e pale eoliche, fatte tra l'altro dai nostri metalmeccanici, investendo sull’innovazione e sconfiggendo il falso paradigma conflittuale tra ambiente e fabbrica.

Lei ha citato la questione energetica determinata dalla guerra tra Russia e Ucraina. Come si schiera il sindacato metalmeccanici su questa tematica?
La Fiom è assolutamente contro la guerra, mentre siamo per il sostegno europeo e per la sicurezza europea tramite un negoziato tra le istituzioni politiche. Noi abbiamo la necessità di salvaguardare la popolazione, l'industria e l'economia europea. La guerra infatti non è mai la prosecuzione della politica con altri mezzi, è la fine della politica. Questo conflitto armato è in realtà la prosecuzione di un conflitto economico. Anche simbolicamente la battaglia per l’acciaieria di Azovstal e le sanzioni economiche lo rendono del tutto evidente.

Qual è secondo lei lo scenario che si sta delineando?
Il convitato di pietra in questo teatro è lo scontro in atto tra la Cina e gli Stati Uniti d'America e l'Europa rischia di diventare il famoso vaso di coccio tra vasi di ferro. Noi oggi invece di rimuovere le ragioni sociali ed economiche della guerra, come fu fatto dalle forze democratiche dopo la prima e la seconda guerra mondiale con il commercio e l'economia dell'acciaio e del carbone, siamo al riarmo. Perché la dinamica della crescita delle spese militari dei singoli Paesi europei riapre una competizione e noi invece abbiamo la necessità di cooperare. Il sistema Italia e i suoi lavoratori in questo contesto rischiano seriamente di pagare, e lo stanno già pagando, lo scotto più alto. Sia con la cassa integrazione, perché le aziende si stanno fermando per la mancanza di forniture sia per gli effetti dal punto di vista salariale. In un Paese in cui l'inflazione galoppa al 6-7% e ha i salari più bassi del continente, è del tutto evidente che l’incidenza dell'inflazione sul potere di acquisto dei lavoratori e delle lavoratrici italiane avrà un impatto drammatico e con conseguenze a catena.

Quali sono le vertenze principali che si è trovato di fronte da quando è diventato segretario generale della Fiom?
Abbiamo alcuni nodi del settore industriale, come quello dell’automotive, che andrebbero totalmente ridiscussi. Abbiamo fatto anche un documento insieme a Fim-Cisl e Uilm per aprire una discussione. Sono più di 12 anni che i lavoratori di questo settore sono vessati da ristrutturazioni, licenziamenti e cassa integrazione. Potrei citare alcune aziende: la Gianetti ruote, la vertenza della ex Gkn, potrei citare anche la situazione della Marelli o della Stellantis e per finire la Bosch di Bari o la Vitesco di Pisa. Abbiamo la necessità assoluta di innovare il settore delle automobili. I lavoratori pagano perché in Italia non abbiamo prodotto i modelli innovativi di mercato. Stessa cosa per la siderurgia. Proprio nel momento in cui c'è la più grande necessità di acciaio nel nostro Paese per l'autonomia industriale, l’ex Ilva applica la cassa integrazione unilaterale fatta dall'azienda (a partecipazione statale) senza neanche un accordo sindacale?

Il mondo degli operai negli ultimi anni è radicalmente cambiato, allontanandosi sempre più dalla sinistra. Come può essere recuperato?
Mettendo al centro il lavoro e ripartendo dalle persone, a cominciare dalle donne e dalle giovani generazioni, che per vivere devono lavorare.
La crisi della democrazia che stiamo attraversando in maniera così esplicita è causata dal fatto che i partiti, più che preoccuparsi della disaffezione degli elettori, guardano solamente a quante sono le percentuali di coloro che ancora votano. Voglio ricordare che quando nelle fabbriche si vota per eleggere i propri rappresentanti, perché il voto sia valido devono votare almeno il 50% più uno dei lavoratori e quasi sempre il dato è molto alto.
In questo periodo gli operai sono diffidenti, e lo sono giustamente, perché nel corso di questi anni gli si è chiesto di sacrificarsi per il bene del Paese. Loro hanno pagato quei sacrifici e questo ha significato molto spesso non salvare né loro né il Paese che nel frattempo ha perso un asset fondamentale per sedersi fra i Paesi del G7, cioè l'industria. In questo momento i metalmeccanici, ma anche tutti i lavoratori, hanno fatto di necessità virtù perché sono stati lasciati soli. I partiti popolari usciti dalla seconda guerra mondiale avevano i lavoratori come interlocutori e non solo le imprese. Oggi dobbiamo recuperare quel rapporto, tornando a discutere dei problemi veri dei cittadini e dei lavoratori.

Come vede il futuro del sindacato?
Il sindacato nel prossimo futuro o è europeo o non è. Questo per una ragione di fondo, perché per poter negoziare con una multinazionale con sedi transnazionali che mettono in competizione i vari Stati e i lavoratori fra loro, dobbiamo avere un'organizzazione europea. Questo perché la nostra prossima sfida è immensa. Senza le stabilizzazioni dei lavoratori e delle lavoratrici precarie si crea una condizione di ricatto che rende impossibile la contrattazione sindacale. Senza la stabilizzazione dei permessi di soggiorno dei lavoratori migranti non daremo mai un salario che possa far arrivare dignitosamente a fine mese. Noi non vogliamo ridurci ad essere un’associazione lobbistica corporativa, ma come dice la Costituzione uno dei soggetti individuati per tenere insieme questo Paese, e se i partiti hanno smesso di occuparsi della politica del lavoro, il sindacato dovrà sobbarcarsi l’onere di fare ancora più politica per rappresentare chi vive del proprio lavoro.

 

Intervista al segretario generale della Fiom Michele De Palma pubblicata sulla rivista "Left" del 29 aprile 2022

 

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