Rimettere al centro il lavoro

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Intervista al nuovo segretario generale della Fiom Michele De Palma 

Lei diventa segretario in un momento carico di incognite. Proprio mentre il settore metalmeccanico stava trainando la ripresa post-Covid è arrivata la guerra. Con quali conseguenze?

«Prima di tutto – risponde Michele De Palma, 46 anni, eletto ieri alla guida della Fiom-Cgil – mi faccia dire che la Fiom è contro la guerra. Il lavoro genera quello che serve alla gente, la guerra lo distrugge: è contro i lavoratori. E le conseguenze le stiamo già vedendo. Molte aziende hanno problemi di approvvigionamento delle materie prime, che mettono in luce la fragilità del nostro sistema industriale, preesistente alla guerra. Le filiere lunghe, caratteristiche della globalizzazione, non tengono più e bisogna pensare a una diversa organizzazione della nostra industria. Ma per farlo serve un confronto con il governo e con le imprese, come hanno fatto per esempio Germania e Francia, mentre noi stiamo ancora aspettando».


L’automotive è il settore più in crisi. Stellantis accusa un calo della produzione nel primo trimestre del 13,5% rispetto allo stesso periodo del 2021. Il governo ha messo in campo un Fondo da 8 miliardi fino al 2030. Da utilizzare come, secondo voi?

«Vorremmo capirlo, appunto. Il governo non ci ha ancora spiegato cosa vuol fare. Noi diciamo che i fondi vanno utilizzati per gli investimenti green e in tecnologia finalizzati a salvaguardare il futuro dell’automotive in Italia mentre nel Pnrr non ci sono risorse destinate a questo. Stellantis era già in una situazione pesante ereditata da Fca. Da molti anni non utilizziamo la capacità installata, con la quale si potrebbero produrre più di un milione e mezzo di veicoli all’anno mentre siamo scesi a 400mila, col rischio di essere l’unico Paese in Europa a pagare un prezzo elevato in termini occupazionali in questo settore. Per evitarlo abbiamo mandato al governo un testo di proposte concordate tra i sindacati e Federmeccanica e chiesto un incontro, ma non ci hanno ancora convocato».


Gli incentivi alla rottamazione possono essere la soluzione?

«No, come dicevo prima. E poi i bonus una tantum e uguali per tutti non servono. Devono accompagnare la transizione green ed essere progressivi, cioè modulati sul reddito delle persone, per consentire, tanto per fare un esempio, all’operaio di Mirafiori di acquistare la 500 elettrica che produce».


Ci sono altri comparti che vi preoccupano?

«La situazione è complessa ma, paradossalmente, ci sarebbe la possibilità di venirne fuori. Pensi solo a cosa significano gli investimenti nella transizione ecologica e nelle infrastrutture digitali e sanitarie per l’industria metalmeccanica. Pensi anche alla siderurgia: in questo momento ci sarebbe bisogno di acciaio ma i lavoratori ex Ilva sono in cassa integrazione. Ci sono poi tante crisi irrisolte, come quella della Whirlpool a Napoli e il tema della stabilizzazione dei tanti precari assunti con la ripresa post-Covid».


Nel frattempo, l’inflazione ha preso a galoppare. Come si difende il potere d’acquisto senza ricadere in pericolose spirali prezzi-salari?

«Tagliando l’imposizione fiscale sugli aumenti del contratto nazionale, come abbiamo proposto ed inoltre una vera riforma fiscale che riduca le tasse sui salari. Oggi il contratto dei metalmeccanici, come altri, prevede l’aggancio all’indice Ipca, ma questo non tutela il potere d’acquisto perché è depurato dai prezzi dell’energia».


Lei arriva al vertice della Fiom in età relativamente giovane: come deve cambiare il sindacato per rappresentare i giovani metalmeccanici?

«Giovane? Sembra così solo per come vanno le cose in Italia. Per invertire la crisi del sindacato tra i giovani, che va avanti da moltissimi anni, l’unico modo che vedo è combattere la precarizzazione del lavoro in tutte le sue forme».

Intervista di Enrico Marro pubblicata sul Corriere della Sera del 7 aprile 2022

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