Venerdì, 03 Maggio 2024

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Pil Italiano: la crescita è di carta

In un articolo sul Sole 24ore il professor Marco Fortis sostiene che l’Italia non è affatto “un paese lumaca”, ma che, anzi, negli ultimi anni “cresce a tassi significativi”. Il professor Fortis è senz’altro un profondo conoscitore delle statistiche e del modo di usarle, altrimenti non sarebbe tutto quello che è: scopiazzando dalle sezioni del sito del Sole-24 ore dedicato alle “nostre firme” apprendiamo che Fortis è vicepresidente della Fondazione Edison, docente di Economia industriale e commercio estero all'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, membro del Comitato scientifico del Centro di Ricerche in Analisi Economica (Cranec) dell'Università Cattolica e membro del Comitato scientifico della rivista Economia Politica, consigliere di amministrazione della Fondazione Carlo Erba e vicepresidente della Fondazione Guido Donegani, co-editor della rivista Economia Politica - Journal of Analytical and Institutional Economics, e infine da agosto 2015 è consigliere di amministrazione della Rai. È anche una “loro firma”, e come tale ha scritto un articolo uscito a pagina 22 del quotidiano della Confindustria di venerdì 4 ottobre.

La conclusione entusiasta dell’articolo è: se si fanno le riforme l’Italia cresce e se no ristagna. Quali riforme? Il jobs act, gli 80 euro di Renzi, l’eliminazione della tassa sulla prima casa, le agevolazioni alle imprese (come il superammortamento e il credito di imposta sulle spese in R&S). Fortis raggiunge questa conclusione dando una lettura delle nuove serie dei conti nazionali Istat, che a suo avviso dimostrerebbero che il nostro paese sta crescendo finalmente “a tassi significativi”, che ciò avverrebbe tramite il ruolo cruciale del settore privato, per la crescita della domanda interna, per il traino dell’industria manifatturiera e del commercio, per la crescita degli investimenti; e poi l’occupazione è cresciuta. Insomma nel triennio 2015-2017 abbiamo attraversato, secondo Fortis, “un periodo di autentico boom”.

Siamo sicuri che la lettura di Fortis sia proprio quella giusta e che non sia stata un po’ frettolosa (del resto, come abbiamo visto, in teoria ha molte cose da fare). L’impressione è che: 1) le nuove serie dei conti nazionali dell’Istat non aggiungono molto a quello che già si sapeva; 2) i ragionamenti di Fortis, tutti basati sull’analisi dei tassi di crescita, non tengono conto dei livelli piuttosto bassi delle grandezze economiche.

Partiamo da qui. Utilizzando le stesse serie usate da Fortis si può notare come il livello del PIL 2018 in termini reali (a prezzi concatenati 2015) è ben al di sotto dei livelli pre-crisi e ha raggiunto nel 2018 (e in frenata) il livello del 2011: dal minimo toccato nel 2013-14 il PIL risale a un ritmo analogo a quello del periodo pre-crisi, e cioè molto lentamente. I consumi delle famiglie hanno una dinamica analoga a quella del PIL e il livello attuale è anzi più basso rispetto a quello del 2011. Gli investimenti, nel loro complesso sono molto più indietro, in faticosissimo e lentissimo recupero, ben lontani dal periodo pre-crisi. Gli investimenti in macchinari e attrezzature hanno anch’essi un andamento analogo. Quelli in Ricerca e sviluppo, è vero, crescono e in livello sono decisamente superiori ai livelli pre-crisi, ma pesano molto poco in assoluto, circa l’8% degli investimenti totali: gli incentivi hanno avuto il loro effetto com’era naturale attendersi.

Torniamo al primo punto, i tassi di crescita. Cos’ha visto di così nuovo Fortis nella edizione settembre 2019 dei conti nazionali. Dal punto di vista della crescita del PIL non c’è niente di nuovo che già non si sapesse. Le nuove serie danno tassi di crescita pressoché identici rispetto all’edizione 2018, con anzi un segno di rallentamento della crescita proprio nel 2018. Nel 2015-1017 l’aggiustamento è davvero poca cosa come mostrano i tassi triennali. Per i consumi i tassi di crescita della nuova serie sono peggiorativi, anche qui di poco. Anche sugli investimenti, nulla di nuovo.

La domanda allora è: cos’ha visto Fortis che non vediamo dagli stessi dati che ha utilizzato? E soprattutto dov’è il “boom” del 2015-2017? Sa forse qualcosa che non sappiamo né vediamo?

Si tenga presente che qui sono omessi i confronti, impietosi per noi, con il resto dei paesi Ue, come pure è omessa un’analisi non superficiale dei dati sul mercato del lavoro (che più è seria e meno è lusinghiera). Forse boom l’ha fatto Fortis. Lavora troppo?

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