Lunedì, 29 Aprile 2024

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Scene di lotta di classe sull'Appennino

stampi group

 

La storia della Stampi Group è una storia incredibile. Gli attori in campo sono diversi. Ci sono dei lavoratori, circa ottanta, che non ricevono lo stipendio da mesi. Un imprenditore che non paga niente e nessuno: i dipendenti, i fornitori, le utenze, le tasse locali. E ci sono delle istituzioni che finora non hanno saputo che pesci pigliare.

Il risultato è che a Monghidoro, il paese dell'appennino bolognese dove si trova l'azienda (l'unica del territorio), si respira un strano clima fatto di rabbia e frustrazione, ma anche di tanto coraggio e forza d'animo. Perché ci vuole coraggio e forza d'animo per tenere in piedi un presidio per oltre 125 giorni, anche di notte, col freddo, la pioggia, oppure, come in queste settimane, con il sole che picchia impietoso.

Ed è proprio davanti ai cancelli della Stampi Group, all'ombra del loro container di lamiera, che incontro alcuni dei protagonisti di questa storia: Giuliano (55 anni), Marisa (56 anni), Barbara (45 anni), Cinzia (50 anni), Brunella (50 anni), Lorena (50 anni) e Filippo (41 anni). Voglio chiedergli della loro lotta, come si sono organizzati per tirare avanti, ma anche per cercare di capire come sia stato possibile arrivare a questo punto. Marisa, la "segretaria" del gruppo, mi dice che tutto è iniziato nel 2012, con il passaggio dell'azienda dalla multinazionale Kemet a un imprenditore di Lodi: "La nostra condizione è ancora più assurda perché, grazie a un accordo sindacale con la vecchia proprietà siglato con l'obiettivo di tutelare l'occupazione ed evitare la deindustrializzazione del territorio, il nuovo imprenditore ha potuto acquistare l'azienda a condizioni di assoluto favore. Kemet, che aveva aperto la procedura di mobilità, infatti si era resa disponibile a pagare a quest'ultimo circa 20mila euro per ogni dipendente riassunto. A ciò bisogna aggiungere numerosi altri vantaggi. A esempio: 18 mesi di sgravi fiscali derivanti dall'assunzione di lavoratori presi dalle liste di mobilità; la fornitura gratuita di energia elettrica per tre anni; un capannone affittato da Kemet a titolo gratuito per 99 anni; un magazzino regalato sempre da Kemet; la possibilità di utilizzare uno stabilimento già avviato e predisposto". C'erano quindi tutte le condizioni per poter ricominciare a produrre e per guardare al futuro con una certa tranquillità. Ma non c'è voluto molto perché le cose mostrassero il loro volto reale.

Passano poco più di due anni e gli stipendi iniziano ad accumulare ritardi sempre crescenti; anzi, emergono problemi persino con contributi pensionistici. La rabbia e l'indignazione aumentano e, com'è naturale, i lavoratori reagiscono con scioperi e presidi davanti ai cancelli. A questo punto avviene un piccolo colpo di scena. Bosh, la grande azienda tedesca per la quale la Stampi Group produce bobine, decide di subentrare alla proprietà nel pagamento degli stipendi per un periodo di quattro mesi in quanto non vuole correre il rischio di rimanere senza materiale.

Ma i quattro mesi passano veloci e il titolare dell'azienda (siamo nel marzo 2016) deve riprendere i pagamenti. Arriviamo così al 15 marzo scorso. Arriviamo al primo giorno di questa lunga ed estenuante lotta. Perché, già lo intuite, il lodigiano non paga nemmeno questa volta; anzi, aggravando un atteggiamento già inqualificabile, non corrisponde ai dipendenti quelle cifre che altri istituti (Inps, Inail, fisco, ecc.) hanno già anticipato alla ditta per prestazioni quali maternità, infortuni e rimborsi fiscali.

Alberto Monti, il segretario della Fiom di Bologna a cui chiedo un parere sulla vicenda, mi dice che mai in tutta la sua lunga esperienza sindacale aveva visto qualcosa del genere.

I lavoratori capiscono allora che debbono attrezzarsi per una lunga lotta, ma a questo punto il padrone spariglia di nuovo le carte e letteralmente chiude i cancelli dell'azienda rifiutandosi di intavolare qualsiasi tipo di trattativa.

La situazione si fa drammatica, anche perché la Stampi Group è una piccola comunità dove non è raro che lavorino insieme marito e moglie, con conseguenze facilmente immaginabili. Come Giuliano (il combattivo delegato della Fiom in fabbrica) e sua moglie Luciana. "Noi non ci arrendiamo - afferma deciso Giuliano - e resteremo qui fino a quando non si sarà trovata una soluzione. Presidiamo la fabbrica giorno e notte, alternandoci a turni di tre ore a testa; infatti il rischio è che il titolare mandi qualcuno per portare via i macchinari, lasciandoci così senza alcuna speranza per il futuro. Del resto, ci hanno già provato, purtroppo. Ci rincuorano - aggiunge - le manifestazioni di solidarietà di tantissime persone: dai commercianti del paese che ci portano quotidianamente generi di prima necessità, ai lavoratori delle fabbriche bolognesi che sono venuti in massa, anche da molto lontano, per dimostrarci vicinanza e il affetto. È persino arrivato l'Arcivescovo di Bologna Mons. Zuppi, e sono venute le operaie della Saeco che ci hanno consigliato come lottare anche sui social media".

Giuliano e "i suoi" non nascondono però un'amarezza. Ovvero che il cittadino più celebre di Monghidoro, Gianni Morandi, che abita a pochi metri dalla Stampi Group, non si sia mai fatto vedere e non abbia mai risposto nemmeno a una mail. "Un piccolo gesto da parte sua avrebbe contribuito ad accendere i riflettori su un dramma che non è solo nostro, ma è il dramma di un' intera comunità".

Certo, un dramma. Un dramma sociale su cui però, da qualche settimana, si è acceso uno spiraglio di speranza. Sembra infatti che un'imprenditore serio abbia mostrato interesse per l'azienda (sempre che il titolare della Stampi si decida a mostrargli i libri contabili, dato che a oggi nemmeno questo è stato possibile) e se tale ipotesi si concretizzasse molti fantasmi sparirebbero di colpo.

Inoltre, vista la gravità e l'eccezionalità della situazione, i sindacati (Cgil, Cisl, Uil e Fiom, Fim e Uilm) hanno avviato una campagna di sottoscrizione a favore dei lavoratori della Stampi Group predisponendo un conto corrente dedicato e aperto al contributo di tutti. "Anche in questo caso - sottolinea con forza Alberto Monti - siamo di fronte a una iniziativa che non ha precedenti, ma era necessario fare qualcosa e presto. L'azienda è ora in liquidazione, ma i lavoratori non possono usufruire di alcun ammortizzatore sociale. Quanto avviene alla Stampi Group è inaccettabile e le Istituzioni debbono battere urgentemente un colpo".

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La Fiom è il sindacato delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della Cgil

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