Primi dati nazionali: la Fiom al 60%

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Qual è lo stato di salute della rappresentanza sindacale? Quanto “valgono” in termini di iscritti e delegati i sindacati italiani? A giugno l'Inps dovrebbe mettere dei punti fermi su una materia sempre più oggetto di polemiche dai contenuti estremamente volubili. Perché la crescente crisi della democrazia (e dei “corpi intermedi” che la dovrebbero incarnare nelle nostre società basate sulla “delega”) mette in gioco equilibri e assetti consolidatisi nel tempo che fu. E perché – nello specifico – la rappresentatività dei sindacati italiani non ha mai contato sul supporto di una legge e la sua misura – che pesa su contratti e accordi – è sempre stata delegata all'autocertificazione delle divese organizzazioni; non particolarmente scientifica, insomma.

A giugno, dicevamo, qualche punto fermo dovrebbe arrivare tramite l'Inps. Dovrebbe.... il condizionale è d'obbligo, perché i dati sugli iscritti ai sindacati che fornirà l'Istituto di previdenza saranno molto relativi per misurare la rappresentanza del mondo del lavoro: per la platea interessata e per la fonte della rilevazione. Conosceremo il numero degli iscritti solo nel settore privato e solo quelli delle aziende aderenti a Confindustria. E saranno proprio le organizzazioni padronali di categoria a fornirli all'Inps che svolgerà un semplice ruolo di collettore. Bisognerà, quindi, fidarsi della precisione e dell'onestà delle imprese. Ma quel che più conta è che “il censimento” escluderà necessariamente una vasta platea di lavoratori, quelli delle aziende che non fanno capo a Confindustria, le cooperative e la consistente galassia delle piccole e piccolissime ditte (in Italia sono più di 4 milioni le imprese sotto i 10 dipendenti e occupano il 45% dei lavoratori del settore privato). In concreto, per quanto riguarda i metalmeccanici, avremo i dati degli iscritti a Fiom, Fim, Uilm, Ugl, Cobas e altre sigle delle aziende che applicano il contratto Federmeccanica; niente per Unionmeccanica, Cofimi, cooperative, artigiani. Fuori dal conteggio anche gli iscritti nelle fabbriche Fca-Cnh, perché come si sa l'ex Fiat è uscita da Confindustria e non applica il contratto Federmeccanica. Il risultato sarà, quindi, molto relativo e tutte le sigle sindacali vedranno ridursi di diverse migliaia di unità il numero dei propri iscritti rispetto a quello dichiarato nel 2014 (senza dimenticare che una rilevazione svolta a giugno è inevitabilmente inferiore a una di dicembre).

Ma c'è poi un altro aspetto, forse persino più rilevante, a relativizzare la misurazione della rappresentanza in corso. Che riguarderà gli iscritti ma tralascerà quella rappresentanza più grande e generale costituita dai delegati eletti nei luoghi di lavoro che avrebbe dovuto costituire – in un mix con il numero dei tesserati – la misura della rappresentatività di ciascuna organizzazione sindacale: “ponderata” dal Cnel, secondo quanto recita l'accordo interconfederale del 10 gennaio 2014. Cnel che, nel frattempo, è stato avviato allo scioglimento dal governo Renzi. A complicare ulteriormente le cose ci sono le rielezioni delle Rsu: dal gennaio del 2014 si dovrebbero eleggere senza la quota “protetta” dell'un terzo che era riservata ai sindacati “maggiormente rappresentativi” dall'accordo del 1993, ma non in tutte le categorie il rinnovamento procede spedito, anzi, e non dappertutto i criteri sono gli stessi.

In un simile quadro il termine certificazione assume dei contorni quantomeno sfumati ed è facile prevedere che per quanto riguarda il rinnovo delle Rsu ben difficilmente avremo dei dati credibili, omogenei e confrontabili con le elezioni precedenti, in modo da stabilire quali organizzazioni abbiano più voti e quale sia l'andamento del loro consenso tra i lavoratori, su cui disegnare la mappa della rappresentanza sindacale. Problema non piccolo per la validazione di accordi e contratti.

Ma poiché le elezioni dei delegati sono le fondamenta della legittimità sindacale è bene provare a scoprire di che materia sono composte; e in un panorama così incerto non ci resta che cercare di sopperire con un viaggio nel voto per le Rsu.

Partiamo dai dati generali che abbiamo – inevitabilmente parziali, soprattutto nelle piccole e piccolissime imprese dove non conosciamo i risultati delle realtà in cui la Fiom non è presente; e poi proseguiremo con alcune province o regioni e alcuni gruppi industriali particolarmente significativi, cercando di fornire dati omogenei e confrontabili con i risultati delle elezioni svoltesi quattro anni prima (questo è – o dovrebbe essere – il termine del mandato delle Rsu).

Secondo i dati in nostro possesso negli ultimi dodici mesi le Rsu sono state rinnovate in 2.521 aziende metalmeccaniche, i lavoratori interessati sono stati oltre 327.000 – quasi un quarto dell'intera categoria - e hanno votato 221.211. La gran parte di aziende e votanti applicano il contratto di Federmeccanica (1.565 aziende per oltre 220.000 addetti e 149.412 votanti). In queste fabbriche la Fiom conta 70.341 iscritti – circa un quinto del totale – e ha ottenuto complessivamente 147.656 voti, il 60,7% del totale, eleggendo 6.391 delegati (il 50,1%). A seguire la Fim con il 27,3%, la Uilm con l'8%; altre sigle hanno ottento in tutto il 4% dei voti. Divisi per aree contrattuali i consensi alla Fiom sono più alti nelle piccole e medie imprese (l'86,5% in Unionmeccanica, l'85,4% nelle cooperative), più basse tra gli orafi e argentieri (57,3%), un po' sopra la media nelle aziende aderenti a Federmeccanica (63,4%). Ragionando per dimensione d'impresa, nelle aziende sotto i 100 dipendenti la Fiom supera l'80% dei voti, arriva al 72,3% nelle imprese tra i 100 e i 250 dipendenti (quelle che costituiscono il cuore del settore metalmeccanico italiano e in cui hanno votato oltre 100.000 lavoratori), ha la maggioranza assoluta anche nelle fabbriche fino a mille dipendenti (62,3% tra i 250 e i 500 dipendenti, 57,9% tra i 500 e i mille addetti), ha la maggioranza relativa nelle grandi imprese sopra i mille dipedenti (39,7%). Per quanto riguarda i risultati regionali la Fiom raccoglie i maggiori consensi in Emilia Romagna (85,8%), Toscana (72,9%), Lombardia (71,6%) - che è anche la regione con il numero più alto di votanti, quasi 80.000 -, Piemonte (68%), Veneto (65,4%). I risultati peggiori per i metalmeccanici della Cgil sono quelli di Puglia (17%) e Umbria (32%). La Fiom è il primo sindacato in tutte le regioni tranne che in Puglia (superata sia dalla Uilm – 38,4% - che dalla Fim – 22,8%) e in Umbria (al primo posto la Fim con 36,4%). Ma delle situazione specifiche (di territorio e gruppo) ragioneremo nelle prossime puntate, quando potremo fare anche dei confronti con le tornate elettorali precedenti. Per ora il dato nazionale, seppur parziale, indica che la Fiom ha la maggioranza assoluta e che i suoi voti sono più del doppio del numero degli iscritti.