Primo maggio, la festa è tutta nostra

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Un giorno di festa che è anche un giorno di lotta; e viceversa. Perché la festa nasce da una lotta e ogni anno non solo la ricorda ma la conferma e rinnova. Per ricordare perché è una conquista che non si può comprare nemmeno pagando gli straordinari, pubblichiamo un estratto dalla storia del Primo maggio pubblicato in “La primavera della democrazia” di Giuseppe Sircana, prefazione di Maurizio Landini (Meta Edizioni, 2014, pag. 80, euro 8)

 

Il 20 luglio 1889 il Congresso costitutivo della Seconda Internazionale, riunito a Parigi, decide che “una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare a effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi”. Non resta che fissare il giorno e la scelta cade sul 1° maggio nel ricordo dei “martiri di Chicago”.

Due anni prima, il 1° maggio 1886, la città americana è stata teatro di un’imponente dimostrazione operaia per le otto ore. Negli Stati Uniti la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro va avanti da molto tempo, ancor prima che l’obiettivo delle “otto ore come limite legale dell’attività lavorativa” venga lanciato dal Congresso della Prima Internazionale, riunito a Ginevra nel settembre 1866. Già ad agosto si costituisce la National Labour Union, prima organizzazione sindacale statunitense a carattere nazionale, che pone le otto ore al centro della propria iniziativa. Di lì a pochi mesi lo Stato dell’Illinois approva una legge che introduce la giornata lavorativa di otto ore, ma con limitazioni tali da impedirne l’estesa ed effettiva applicazione. L’entrata in vigore della legge è fissata per il 1° maggio 1867 e quel giorno diecimila lavoratori danno vita al più grande corteo mai visto per le strade di Chicago.

Anche in Europa l’obiettivo delle otto ore figura nei programmi delle organizzazioni operaie, ma non viene perseguito con la coerenza e determinazione necessarie. Negli Stati Uniti il movimento sindacale è invece deciso a non mollare. Nell’ottobre 1884 la Federation of Organized Trades and Labour Unions indica nel 1° maggio 1886 la data limite, al di là dalla quale gli operai americani si rifiuteranno di lavorare più di otto ore al giorno.

Man mano che ci si avvicina a quella scadenza nelle principali città industriali la tensione si fa sempre più acuta. Da un lato scendono in campo le organizzazioni anarchiche e socialiste; dall’altro il padronato, la borghesia, le autorità e la stampa, che agitano lo spettro della Comune di Parigi. Il New York Times denuncia manovre “antiamericane” da parte di immigrati europei, mentre nei piccoli centri la stampa locale arriva a invocare il linciaggio per gli “agitatori”. Il 1° maggio 1886 cade di sabato, allora giornata lavorativa, ma in 12.000 fabbriche degli Stati Uniti 400.000 lavoratori incrociano le braccia. Nella sola Chicago, cuore pulsante dell’economia americana, sono in 80.000 a scioperare e a partecipare, vestiti con gli abiti migliori, al grande corteo e al comizio.

Tutto si svolge pacificamente, ma nei giorni successivi scioperi e dimostrazioni danno luogo a gravi incidenti. Lunedì 3 la polizia apre il fuoco contro i dimostranti radunati davanti a una fabbrica per protestare contro i licenziamenti, provocando quattro morti. La sera di martedì 4 si svolge una nuova manifestazione di protesta. Mentre la polizia cerca di avvicinarsi al palco degli oratori per porre fine al comizio, qualcuno lancia una bomba. È il caos: i poliziotti sparano all’impazzata e finiscono per colpire anche i loro colleghi. Alla fine si contano otto morti e numerosi feriti. Il giorno dopo, nella vicina Milwaukee, la polizia interviene contro una manifestazione di operai polacchi: sono altre nove vittime. Una feroce ondata repressiva si abbatte contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori: le sedi vengono devastate e chiuse, i dirigenti percossi e arrestati.

Alla fine la responsabilità di quanto accaduto a Chicago è attribuita a otto anarchici, condannati a morte malgrado non sia stata raccolta alcuna prova della loro partecipazione all’attentato. Due, Samuel Fielden e Michael Schwab, ottengono la commutazione della pena capitale in ergastolo, un terzo, Louis Lingg, viene trovato morto in cella, mentre gli altri quattro, Albert Parsons, August Spies, George Engel e Adolf Fisher vengono impiccati in carcere l’11 novembre 1887. In tutto il mondo i lavoratori avvertono questa esecuzione come un sacrificio offerto alla causa comune e si mobilitano affinché venga riconosciuta l’innocenza dei “Martiri di Chicago”. Bisognerà attendere sei anni. Finalmente, il 25 giugno 1893, di fronte a migliaia di persone e delegazioni straniere convenute nel cimitero di Waldheim, viene scoperto un monumento a loro dedicato. Il giorno dopo il governatore dello Stato dell’Illinois riconosce la parzialità del verdetto e firma il “perdono” dei martiri. Il ricordo dei “Martiri di Chicago” è intanto assurto a simbolo della lotta per le otto ore e rivive ogni anno nella giornata ad essa dedicata.

 

La prima volta

Circa dieci mesi intercorrono tra la decisione assunta dall’Internazionale il 20 luglio 1889 e la sua pratica attuazione il 1° maggio 1890. In vista dell’impegnativa scadenza le organizzazioni dei lavoratori intensificano l'opera di sensibilizzazione sul significato di quell'appuntamento. “Lavoratori - si legge in un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 - ricordatevi il 1° maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l'Internazionale!”.

Monta intanto un clima di tensione, alimentato da voci allarmistiche: la stampa conservatrice interpreta le paure della borghesia, consiglia a tutti di starsene tappati in casa, di fare provviste, perché non si sa quali gravi sconvolgimenti potranno accadere. I governi dei vari paesi, più o meno liberali o autoritari, mettono in allerta gli apparati repressivi.

In Italia il governo di Francesco Crispi usa la mano pesante, attuando drastiche misure di prevenzione e vietando qualsiasi manifestazione pubblica sia per la giornata del 1° maggio che per la domenica successiva, 4 maggio. In diverse località, per incoraggiare la partecipazione del maggior numero di lavoratori, si è infatti deciso di far slittare la manifestazione alla giornata festiva. Del resto si tratta di una scommessa dall'esito quanto mai incerto: la mancanza di un unico centro coordinatore a livello nazionale - il Partito socialista e la Confederazione generale del lavoro sono di là da venire - rappresenta un grave handicap dal punto di vista organizzativo. Non si sa poi in che misura i lavoratori saranno disposti a scendere in piazza per rivendicare un obiettivo, quello delle otto ore, considerato prematuro da gran parte dei dirigenti del movimento operaio italiano o per testimoniare semplicemente una solidarietà internazionale di classe.

Proprio per questo la riuscita del 1° maggio 1890 costituisce una felice sorpresa, un salto di qualità del movimento dei lavoratori, che per la prima volta dà vita a una mobilitazione su scala nazionale, per di più collegata a un'iniziativa di carattere internazionale. In numerosi centri, grandi e piccoli, si svolgono manifestazioni, che fanno registrare quasi ovunque una vasta partecipazione di lavoratori. Un episodio significativo accade a Voghera, dove gli operai, costretti a recarsi al lavoro, ci vanno vestiti a festa.

“La manifestazione del 1° maggio – è il commento di Antonio Labriola - ha in ogni caso superato di molto tutte le speranze riposte in essa da socialisti e da operai progrediti. Ancora pochi giorni innanzi, la opinione di molti socialisti, che operano con la parola e con lo scritto, era alquanto pessimista”. Anche negli altri paesi il 1° maggio ha un'ottima riuscita: “Il proletariato d'Europa e d'America – si compiace Frederick Engels - passa in rivista le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito. E lo spettacolo di questa giornata aprirà gli occhi ai capitalisti”. Sulle ali dell’entusiasmo si decide di rinnovare l’appuntamento per l’anno successivo. Il 1° maggio 1891 conferma il successo della mobilitazione e induce la Seconda Internazionale a rendere permanente la “festa dei lavoratori di tutti i paesi”.

 

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