«Ex Ilva, lavoratori lasciati soli. Intervenga il Premier Draghi»

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“La vicenda Ilva riguarda almeno tre Ministeri (Mise, Ministero del Lavoro, e Mite) ed è giunta ad un punto tale di complessità che è ormai indispensabile che sia il Presidente del Consiglio ad occuparsene. Non abbiamo bisogno di un Presidente del Consiglio che si siede sui banchi dei lavoratori ma che svolga il ruolo che gli compete e si assuma le sue responsabilità. Non abbiamo bisogno di teatro ma di risposte concrete”. A meno di un mese dalla sua elezione a segretario generale della Fiom Cgil (dove è subentrato a Francesca Re David), il pugliese Michele De Palma (è di Terlizzi) è oggi a Taranto. Con Quotidiano, De Palma parla della vertenza leader della regione che però è anche una delle grandi questioni industriali del Paese. E lo fa partendo proprio dal ruolo del Governo, citando l’ex premier Giuseppe Conte (fu lui a sedersi sui banchi del consiglio di fabbrica a fine 2019) ma soprattutto chiedendo all’attuale premier Mario Draghi di mettere in campo un intervento straordinario sulla siderurgia, e in particolare su Taranto, per affrontare una transizione ecologica, industriale e sociale al fine di tutelare l’occupazione e l’ambiente attraverso una valutazione preventiva di impatto sanitario e ambientale.

De Palma, siamo ormai a dieci anni dal sequestro giudiziario degli impianti Ilva e di fatto non se ne esce. È cambiata la società ma la svolta non si è vista. Mi pare sia evidente un clima di forte sfiducia dei lavoratori e della città.

“La stanchezza per i lavoratori e i cittadini è concentrata fondamentalmente su un punto. Nel corso di questi anni, impresa da un lato e soggetti istituzionali e Governo dall’altro non hanno mai rispettato quello che hanno concordato e presentato all’opinione pubblica, ai lavoratori e alle lavoratrici. Chi è negli stabilimenti, più che essere rassegnato, è stanco. Sì, perchè non c’è mai stata corrispondenza vera tra quanto dichiarato o scritto e i fatti. Ma ai cittadini di Taranto come ai lavoratori non è consentito rassegnarsi. Il ministro dello Sviluppo economico, Giorgetti, in modo irresponsabile ha abbandonato il confronto sul futuro dell’Ilva. Giorgetti pensa di potersi occupare della questione ogni quattro-cinque mesi, ma non funziona così. Perchè accade che la condizione permanente di emergenza determini una speculazione politica. Nel senso che di Ilva si ricordano o in campagna elettorale, o quando interviene la Magistratura oppure quando si verifica un incidente. Invece avremmo bisogno di passare da una condizione di straordinarietà ad una di ordinarietà nella quale le cose avvengono, ma soprattutto si dicono e si fanno. Ecco perché chiediamo a Draghi di intervenire. Ilva è questione molto complessa e Taranto è il cuore della complessità”.

Ieri si è scioperato al siderurgico di Genova e il 6 maggio si sciopererà a Taranto. Un altro sciopero, e va bene, ma poi cosa cambia?

“In una condizione in cui nessuno si assume le proprie responsabilità,  lavoratori e lavoratrici hanno un unico strumento: lo sciopero. Tolti tutti i vincoli che abbiamo verso impianti da salvaguardare sul piano della sicurezza, scioperiamo per accendere in modo democratico l’attenzione e i riflettori sull’Ilva. Oggi noi andiamo al Mise se dobbiamo discutere di piano industriale e al ministero del Lavoro per la cassa integrazione. Invece una regia del presidente del Consiglio determinerebbe un diverso andamento. Forse anche Giorgetti starebbe meglio sul pezzo perchè mica gliel’ha ordinato il medico di fare il ministro dello Sviluppo economico. In questi anni, negli accordi tra Stato e privati, tutti i tentativi fatti hanno riguardato il tenerci fuori sia dal negoziato che dalla verifica sull’applicazione degli accordi. Oggi uno dei problemi è che l’azienda fa cassa integrazione in modo unilaterale. Veniamo esautorati e chiamati quando ti dicono: siamo arrivati a questo punto, o c’è accordo o salta tutto. Ma dov’é l’accoglimento di una richiesta di cambiamento dei lavoratori, dei cittadini, che certo non si può imporre dall’alto? Taranto doveva essere un banco di prova anche per le relazioni industriali, invece siamo alla peggiore delle gestioni. Taranto sta diventando un teatro di prova per tutti coloro che cercano elementi di consenso, ma noi siamo stanchi di fare le comparse in film che girano altri”.

Come mai lo Stato, che è pure azionista di Acciaierie d’Italia, lascia correre?

“Su Ilva prima abbiamo assistito a polemiche tra ministeri e nella politica, ora invece che lo Stato dovrebbe fare lo Stato, cioè far coincidere gli interessi dello Stato con quelli di lavoratori e cittadini, accade che, messe a disposizione le risorse, la cultura zelante del mercato lascia fare al privato perchè si ritiene che faccia gli interessi di tutti. In realtà soffrono Taranto e la siderurgia. E non si perseguono gli interessi del Paese. Ma in Germania Volkswagen o in Francia Renault e Psa, aziende dove lo Stato è presente, pensate che si decida senza considerare gli interessi dello Stato, dei territori, dei lavoratori? Qui i cittadini pagano le tasse e non c’è il loro peso nelle discussioni e nelle decisioni. Taranto è un banco di prova che non può essere scartato. Non si può decidere quali interessi seguire e quali abbandonare”.

Transizione e decarbonizzazione sono due passaggi che attendono Ilva. Ma non teme, adesso, uno slittamento a causa della guerra e oltretutto il presidente Franco Bernabè ha già parlato di dieci anni come tempo necessario...

“Dovremmo avere il nuovo piano industriale col relativo cronoprogramma per vedere come la guerra impatta sui tempi. Ma qui già il precedente piano non è stato rispettato. Dieci anni? Una discussione seria ha bisogno di riferimenti certi mentre dal 2012 non c’è mai stato un elemento di concretezza, il nesso tra quello che si dice e quello che si fa. E i tempi non possono essere l’asticella che uno varia sulla base delle dichiarazioni del momento. Su preridotto ed energia osservo poi che il problema era precedente. Prima della guerra in Ucraina, i costi erano già alti. Oggi avremmo bisogno di più acciaio. Invece l’anno scorso c’è stata una produzione di circa 4 milioni di tonnellate e pur stando dentro l’Aia una produzione di 6 milioni, siamo nel paradosso della cassa integrazione. Dovremmo capovolgere il piano della discussione. Cosa c’è di più importante di Taranto in termini di ripresa e resilienza? Le formule e i modi si trovano e si possono trasferire in politiche di investimento, ma bisognerebbe chiedere a chi ha presentato il Pnrr Italia, quali scelte sono state fatte per la situazione straordinaria di un territorio e di un’azienda? Mi sembra di vedere quei sindacalisti che al posto di fare gli accordi, parlano. Ma come noi dovremmo parlare con gli accordi, i ministri dovrebbero parlare con i provvedimenti. Che non ci sono. Proprio perché abbiamo i soldi del Pnrr, tutti i livelli istituzionali, dalla città alla regione, dovrebbero chiedere che si discuta di Taranto. Mittal fa i suoi interessi? Certo, fa l’imprenditore. Ma noi siamo capaci di fare i nostri, il Governo fa gli interessi del Paese? Noi scioperiamo perchè non è possibile che dobbiamo trovarci con gli infortuni per rivendicare gli investimenti nella sicurezza e nelle tecnologie, vedere le emissioni per spingere sul processo di risanamento ambientale, riscontrare impianti a marcia ridotta per sollecitare una svolta per una transizione sostenibile dal punto di vista ecologico e sociale. Le transizioni industriali le fanno i lavoratori. Senza i lavoratori non si fanno le transizioni.

 

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