La missione per il lavoro

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Michele De Palma, neo segretario generale della Fiom, la sua agenda sindacale è piena di vertenze da discutere con il governo. Ha già fissato il primo incontro in fabbrica?

“Parto da Termini Imerese, dove dibatteremo sulla reindustrializzazione, poi sarò a Reggio Emilia con le delegate e i delegati all'Assemblea generale della struttura. E sabato parteciperò ad un'iniziativa a Roma per discutere di Pnrr. La prossima settimana proseguirò nel monitorare le crisi in Italia. Sarò presto anche a Taranto per una assemblea con i delegati della Fiom ionica, stiamo fissando la data”.

Guerra e transizione ecologica. Temi distanti eppure intrecciati. La sua posizione?

“La guerra come ho detto nella relazione programmatica nell’assemblea generale della Fiom-Cgil, distrugge. Il lavoro crea. In questo c’è la differenza fondamentale che caratterizza la storia dei metalmeccanici, da sempre contro la guerra e per la pace. Basta ricordare l’epica di Reggio Emilia, dove i lavoratori si intestarono la trasformazione dello stabilimento che passò da produrre carri armati a realizzare trattori”.

La questione green divide, e allo stato penalizza l’occupazione.

“La nostra visione vede insieme la transizione ecologica e la salvaguardia dell’ambiente non in contraddizione con l’occupazione, tenendo insieme giustizia ambientale e sociale”.

Per produrre un motore diesel in fabbrica ci sono il doppio degli operai che lavorano per un motore elettrico?

“Mi sono occupato di automotive. Le auto elettriche si dice riducano l’occupazione. Ma il motore elettrico, i semiconduttori, la parte informatica e la gestione delle centraline sono ambiti che posso impiegare tanti lavoratori, a condizione che siano formati. L’ambientalizzazione e la salvaguardia dell’occupazione sono un caposaldo Fiom di questo periodo. Non c’è transizione se non si può sostenere socialmente. Se no, come argomentava don Tonino Bello, la guerra genera povertà oltre che morte, ma anche la povertà genera la guerra. Dobbiamo rimuovere le cause economica”.

La sua riflessione sugli effetti della transizione green è per certi versi sovrapponibili a quella di Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo che si pone il problema degli effetti occupazionali del cambio di paradigma.

“Su questo dissento: non si posso dire alcune cose e farne altre. Se continuiamo a mettere incentivi alla domanda di elettrodomestici, pensando di salvare Whirlpool siamo sulla strada sbagliata. L’Italia ha bisogno di una politica industriale, che sia discussa con imprese e sindacato. Giorgetti non so se discute con la parte datoriale, di certo non parla con noi”.

In Puglia c'è il dossier ex Ilva, tra ragioni industriali e nuovi esiti giudiziari. Che posizione ha la Fiom sullo stabilimento ionico, sulla decarbonizzazione?

“Il sindacato parla con la contrattazione. L'accordo del 2018 non era suggellato solo dalla firma nostra ma anche dal voto dei lavoratori. Si parte da lì. L’Ilva di Taranto non è solo strategica per l’area e per i lavoratori, ma per tutto il gruppo per la siderurgia in Italia. Ci consente di essere un paese industriale, con una industria metalmeccanica. Dal 2012 gli impianti sono sotto sequestro e producono con una legislazione speciale e con il conferimento della facoltà d'uso, con il limite a sei milioni di tonnellate per l’impatto ambientale”.

L’Italia ha però bisogno di acciaio.

“Noi abbiamo un problema di approvvigionamento. Acquistiamo semilavorati, rottame e ghisa per tre milioni di tonnellate dall'Ucraina e dalla Russia, quindi con margini teorici di crescita per Taranto. Il tema vero per la Fiom è tenere fermo l’accordo del 2018 e guardare alla decarbonizzazione con l’idrogeno, almeno nel medio periodo, con equilibrio anche sui volumi produttivi, per salvaguardare insieme occupazione e ambiente”.

La Regione Puglia ha spinto per la decarbonizzazione della produzione dell'acciaio. I tempi?

Ci vuole un piano industriale con un timing medio-lungo di cui conosciamo solo le linee generali ed in cui il ruolo pubblico non si esaurisca nell’investimento finanziario, ma si eserciti nell’orientamento strategico del Gruppo: invece siamo alla CIGS e, fatto grave, senza un accordo sindacale.

Nel barese la crisi sta iniziando a colpire il settore dell'automotive. Che fa il governo?

“Non ci sono soluzioni, perché nel Pnrr non abbiamo individuato risorse. Con il sistema di Federmeccanica, l'esecutivo ha aperto a un fondo di 8,3 miliardi con un decreto apposito. A Bari ci sono Marelli e Bosch, c’è spazio per investire sull’ibrido e sull’elettrico. A una condizione”.

Quale?

“Che si formino i lavoratori per passare dalla metalmeccanica alla meccatronica. La Puglia ha una dimensione industriale di rilievo, tra Leonardo, Cnhi e una rete diffusa di fabbriche, senza dimenticare i distretti avanzati e il ruolo del Politecnico. Bisogna cambiare la narrazione e ricordare che l’industria nazionale è un vero traino economico del paese”.

L’esperienza sindacale: ricorda il primo giorno in Cgil?

“Come se fosse una cartolina. Ho preso il treno della notte da Terlizzi e sono arrivato a Reggio Emilia trovando tantissima nebbia”.

Prima del sindacato l'impegno politico a sinistra, con i movimenti studenteschi: cosa porta con sé di quella stagione?

“Il senso della giustizia e dell’ingiustizia che viene prima dell’impegno in politica. L’ho scoperto con le suggestioni di don Tonino Bello e Nichi Vendola”.

I maestri sindacali?

“Sono debitore della testimonianza ricevuta dai delegati Fiom, alla delicatezza e alla forza che impiegano per prestare la propria opera in una azienda, negoziando con rigore i contratti con il datore di lavoro”.

La bussola culturale per il suo percorso nel sindacato?

“Due esperienze dell’Università di Bari: le lezioni su Gramsci con Lea Durante e quelle su su Pier Paolo Pasolini con Pasquale Voza. Le opere di questi due autori sono sempre con me”.

Un film da consigliare a chi non deve dimenticare i diritti dei lavoratori al tempo del turbocapitalismo che restringe i diritti?

“Tutta la filmografia di Ken Loach, ma il segno dei tempi è nel film dei fratelli Dardenne, “Due giorni, una notte”, con i lavoratori che devono decidere tra licenziamento e premio di risultato, mentre la democrazia in azienda tra gli operai è trasformata in barbarie, con l’opzione che l’individuo prevalga sul collettivo. Una delle contraddizioni con cui ogni giorno facciamo i conti”.

Intervista sulla Gazzetta del Mezzogiorno dell'8 aprile 2022

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