Non si va a rimorchio

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La strategia del rimorchio non paga. Il governo deve trainare l'industria italiana dell'auto alla testa della transizione elettrica e digitale. Il rischio, altrimenti, è diventare il Paese delle produzioni di retroguardia, le prime sacrificabili, avverte Michele De Palma, segretario nazionale e responsabile automotive Fiom-Cgil.

Con Fim-Cisl e Uim-Uil avete siglato un inedito appello congiunto con Federmeccanica per chiedere al governo un piano straordinario di sostegno all'auto. Vi preoccupa il termine del 2035 per la vendita di diesel e benzina in Europa?

Il problema non è il 2035, ma il 2022. Ancor prima dell’annuncio del piano Fit for 55 la quota di immatricolazioni del diesel è passata dal 50 al 30% in Europa, Il mercato sta decidendo e imponendo nuove soluzioni industriali, noi siamo già in ritardo. Bisogna inserire in fretta l’industria italiana in questa transizione.

Eppure, si calcola che a questo ritmo la transizione elettrica costerà 70 mila posti di lavoro in Italia. Non crede sia necessario rallentare e includere anche altre tecnologie?

Non vogliamo trovarci né a difendere un mondo che non esiste più né a esasperare i tempi di trasformazione. È un fatto però che le grandi multinazionali dell’auto ragionano su piani pluriennali di investimento e oggi stanno puntando su batterie, semiconduttori e idrogeno. Il compito della politica è creare le condizioni perché queste produzioni innovative arrivino in Italia che altrimenti rischia di diventare la coda della filiera e quindi candidato ideale a scaricare il problema della sovracapacità degli stabilimenti. Altrove, per esempio, le gigafactory ci sono già. In Italia si sta ancora discutendo se costruirla o meno.

Il governo ha messo in campo incentivi all'acquisto di auto elettriche, ma voi chiedete che il supporto non si limiti alla domanda, ma abbracci anche l'offerta. Come?

La pandemia, la crisi dei chip e l’esplosione dei costi della logistica hanno dimostrato la debolezza delle catene produttive sparse. I grandi costruttori stanno quindi verticalizzando la propria struttura industriale e avvicinando le fabbriche ai mercati di sbocco. Servono pertanto da un lato strumenti di sostegno alla reinternalizzazione di produzioni nel nostro Paese, dall’altro misure che favoriscano la crescita delle aziende italiane. Altrimenti, le piccole e medie imprese non avranno la capitalizzazione necessaria a investire sulla transizione né le risorse per sostenere la domanda delle multinazionali.

Da più parti si lamenta la mancanza dì grandi multinazionali che possano fare da traino all'industria e indicare la direzione di investimento alle tante piccole e medie imprese dell'indotto italiano. Pensa che la Cassa Depositi e Prestiti possa assumere questo ruolo?

Il caso di Volkswagen dimostra che le multinazionali non sono apolidi, ma hanno una forte relazione con il Paese dove hanno il quartier generale, i centri di ricerca e sviluppo e azionisti forti. Stellantis ha il governo francese fra i primi soci, Marelli è di proprietà di un fondo americano, e come Iveco è sul mercato. Penso che Cdp possa svolgere un ruolo di sostegno dentro alle grandi aziende che hanno grandi organici e capacità di investimento.

Quando dice «dentro» intende che Cdp dovrebbe entrare nel capitale di una o più grandi aziende dell'auto?

L’Italia dovrebbe invertire la tendenza degli ultimi anni che l’ha vista perdere la governance dei grandi gruppi industriali. Altrimenti, mancano le leve per attuare le politiche industriali e scaricare a terra gli investimenti pubblici a sostegno della transizione. Non escludo perciò che il governo possa svolgere un ruolo attivo anche attraverso Cdp, magari seguendo il modello di Stmicroelectronics. Siamo molto preoccupati dall’idea che lo Stato intervenga quando le aziende sono ormai decotte o quando la crisi di un settore è deflagrata.

Come sindacati avete appena chiesto la convocazione urgente del tavolo Stellantis al ministero dello Sviluppo economico e ai vertici della società prima del 1° marzo, giorno in cui Carlos Tavares presenterà il piano industriale a lungo termine. Come avete interpretato la decisione casa di rimborsare in anticipo il prestito con garanzia Sace?

Anzitutto, tengo a ribadire che, nonostante numerose richieste alle istituzioni, non siamo mai riusciti a leggere il testo dell’accordo fra Fca e Sace. Detto questo, la restituzione del prestito è fonte di preoccupazione soprattutto perché non abbiamo ottenuto un confronto con l’azienda e il governo prima della presentazione del piano industriale a marzo. Oggi gli impianti italiani sono sfruttati alla metà della loro capacità. Le produzioni oggi programmate sono insufficienti a raggiungere l’obiettivo di 1,5 milioni di veicoli. 

 

Intervista a Michele De Palma, segretario nazionale Fiom e responsabile del settore automotive, pubblicata su "Milano Finanza" del 5 febbraio 2022, a firma di Francesco Bertolino

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