Venerdì, 19 Aprile 2024

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Re David (Fiom Cgil): «Sull’auto il governo ci convochi subito»

«Qui mancano politiche industriali da vent’anni. L’Italia è in condizione di debolezza in questa fusione alla pari con i francesi. La nascita di Stellantis è un fatto in sé necessario perché si crea un gruppo di taglia più grande ma occorrerebbe la presenza dello Stato nel capitale. Per avere voce in capitolo sulle strategie future — dice Francesca Re David, segretaria generale di Fiom Cgil —. E invece non abbiamo neanche un tavolo sull’auto perché non mi dirà che quei tre minuti in cui ognuno ha detto la sua somigliano ad un vero confronto. Abbiamo appreso dai giornali la notizia della trattativa per la cessione di Iveco, un asset storico e strategico dell’industria della mobilità italiana. L’azienda, su nostra richiesta, ci ha immediatamente convocato per informarci, mentre allo stato non sappiamo neppure se il Governo fosse informato e se ritiene sia utile un confronto».

Con gli investimenti necessari per il passaggio all’elettrico fca non poteva restare sola: vede però rischi per gli impianti italiani?

«Fca è arrivata in ritardo sull’elettrico. Ha dovuto negoziare con i francesi per colmare questo divario ora però attendiamo di conoscere il piano industriale di Stellantis, ma il nuovo soggetto che interlocuzione avrà col governo e con i sindacati in Italia? Quanti e dove saranno gli investimenti in ricerca e sviluppo? Che fine faranno gli stabilimenti posizionati sui motori endotermici, come quello di Cento? E qual è la strategia del governo sulla mobilità visti i fondi del Recovery in arrivo? L’automotive si lega a doppio a filo alla transizione energetica e all’idea di Paese che abbiamo in mente nei prossimi anni. Non possiamo andare avanti solo con gli incentivi. Qualcuno ha in mente di convocare tutti gli attori della filiera ascoltando le loro proposte? Si tratta di tutelare dai 60mila dipendenti diretti ai 250 mila della componentistica».

Ma l’azienda ha portato a compimento il piano con investimenti per 5 miliardi

«Vero, ma dopo aver disatteso tutti quelli precedenti. Per mantenere le maestranze e raggiungere la piena occupazione non possiamo puntare solo sui prodotti ad alto valore aggiunto come i modelli Maserati. Bisognerebbe ragionare sul mass market. Se si eccettua lo stabilimento della Sevel e quello di Melfi gli altri impianti non viaggiano con la piena capacità produttiva e ciò porta al ricorso alla cassa integrazione». Nel board di Stellantis c’è un posto che spetta ai lavoratori, ma Fca ha scelto un profilo senza condividerlo con i sindacati. Manca una legge sulla rappresentanza? «Noi l’abbiamo sempre rivendicato. Mi faccia dire che Fca non ha mai avuto la volontà di coinvolgere i lavoratori nella gestione. Ha dovuto accettarlo con la fusione con Psa perché i francesi, come i tedeschi, hanno regole specifiche e una storica tradizione di partecipazione. E’ venuto il momento di colmare questo ritardo. Considerando anche il fatto che Fca sia uscita da Confindustria e abbia preteso un contratto su misura che noi non abbiamo firmato. Una ferita che però non ci ha impedito di mantenere la rappresentanza. Ne sono esempio i tanti accordi in difesa dell’occupazione e il protocollo per la salute dei lavoratori negli impianti Fca firmato a marzo».

Le parti sociali stanno ragionando su un ventaglio di proposte sul futuro?

«Il governo sul Recovery non ci ha coinvolto come invece sta avvenendo in Germania. Sul futuro non si ragiona con i sindacati. Non ci considerano un interlocutore sulle scelte da fare, veniamo chiamati solo quando creiamo mobilitazione. E invece dovremmo ragionare insieme su questa transizione basata su digitalizzazione, intelligenza artificiale, elettrificazione, idrogeno. Parlando anche di riduzione dell’orario di lavoro. Non esiste nella storia del movimento operaio un solo momento in cui la tecnologia non abbia portato a maggiore ricchezza con un minor tempo impiegato. Dovremmo redistribuirla sui lavoratori riducendo il carico orario, inserendo il tema nella riforma degli ammortizzatori sociali».

A che punto è il rinnovo del contratto dei metalmeccanici: discutete sul salario ma a fine emergenza probabilmente ci saranno da salvare migliaia di posti

«Invece è inevitabile che si ragioni sui salario. Le aziende non hanno rispettato l’accordo sulla contrattazione di secondo livello, non hanno distribuito ricchezza quando avrebbero potuto. Si tratta di far ripartire la domanda interna. Senza pensare che la fine del blocco dei licenziamenti a marzo significherà la libertà di licenziare. Col Recovery alle imprese stanno arrivando molti soldi come il piano Industria 4.0, oppure pensi alla defiscalizzazione e decontribuzione alle aziende che operano nel Mezzogiorno senza nessun tipo di condizionalità. Riteniamo che non ha alcun senso non aver alcun vincolo sull’occupazione. La spinta del 4.0 non ha avuto nessuna ricaduta sui lavoratori, che invece hanno pagato il lockdown con mesi e mesi di cassa e il reddito ulteriormente ridotto. Insieme dobbiamo ragionare sulle professioni che cambiano, con una riforma dell’inquadramento e sui diritti di chi lavora in appalto, platea cresciuta a dismisura negli ultimi anni per la frantumazione del modello gestionale delle imprese». 

Lo Stato è entrato anche nell’Ilva, che cosa vi aspettate dal piano?

«Consideriamo l’ingresso dello Stato in un asset fondamentale come Ilva assolutamente positivo vista la nostra vocazione manifatturiera. Ma siamo stati tagliati fuori da qualunque discussione tra governo e Mittal. Ora aspettiamo il via libera dell’Antitrust europeo entro fine gennaio prima di vedere quale sarà il piano industriale. Noi abbiamo sempre detto che l’accordo di settembre 2018 non è stato cancellato. Con 10700 addetti nel perimetro e a fine piano la piena occupazione. È impensabile con una multinazionale che diceva zero esuberi, ora si cambi idea con l’ingresso pubblico. Tutelando anche gli addetti nel perimetro dell’amministrazione straordinaria».

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La Fiom è il sindacato delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della Cgil

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