Martedì, 19 Marzo 2024

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Il gigante dallo scafo d'argilla

Incontro tra azienda e sindacati il 16 aprile sulla proroga della cassa integrazione, per riaprire si attende l'ok del governo. D'Andrea (Fiom): "La crisi sia l'occasione per ripensare il modello produttivo, ora fondato su appalti ed esternalizzazioni"

La ripresa delle attività è prossima. La decisione sarà presa in base alle disposizioni del governo e al placet delle autorità. E ovviamente sarà al centro del vertice tra azienda e sindacati di giovedì 16 aprile. Il riavvio sarà comunque graduale, nel segno del mantenimento della distanza tra i lavoratori e del rispetto delle precauzioni igienico-sanitarie. Fincantieri è ferma da un mese: le attività sono state interrotte il 16 marzo scorso, dopo lo sciopero spontaneo degli addetti di alcuni cantieri che si sono rifiutati di lavorare in condizioni che, visto l’allargarsi del contagio, rischiavano di essere pericolose per la salute. Per le prime due settimane l’azienda ha fatto ricorso a ferie pregresse (soluzione fortemente contestata dalle organizzazioni sindacali), successivamente è scattata la cassa integrazione.

Azienda e sindacati, nell'incontro del 9 aprile scorso, hanno concordato sulla necessità di “tenere conto delle prescrizioni previste dai Dpcm attualmente vigenti”: da qui la richiesta di Fincantieri di prorogare la cassa integrazione a zero ore per tutti i siti aziendali fino a sabato 18 aprile. La cig sarà valida per la maturazione dei ratei di ferie, permessi a recupero (par) e tredicesima mensilità. “Nel corso della videoconferenza – spiega Roberto D’Andrea, coordinatore nazionale Fincantieri e cantieristica navale per la Fiom Cgil nazionale – l’azienda ha dichiarato che si sta attrezzando e che può riaprire già dal 20 aprile, seppure in maniera modulare e graduale. Noi subordiniamo il riavvio, come previsto dall'accordo del 9 aprile, al rispetto delle prescrizioni inserite nel decreto. È evidente, infine, che tutto ciò che sarà possibile riattivare andrà verificato dai comitati territoriali, con il coinvolgimento delle Asl e delle autorità competenti”.

Giovedì 16 aprile, dunque, si terrà il nuovo incontro per prorogare la cassa integrazione con la causale “emergenza Covid-19” e, se le disposizioni del governo verranno rispettate, programmare la riapertura. Nel frattempo, i comitati previsti dal protocollo verificheranno le azioni intraprese dall'azienda per prevenire il contagio. Negli impianti di Marghera e Monfalcone, ad esempio, si sta ragionando su diverse soluzioni: ingressi in azienda in fila indiana e distanziamento di almeno un metro, uso obbligatorio di mascherine e guanti, camminamenti e percorsi interni allo stabilimento delimitati da transenne, misurazione quotidiana della temperatura corporea con un termoscanner, organizzazione del lavoro su più turni, norme rigide per l’utilizzo di mensa, spogliatoi e armadietti. Si sta pensando anche allo scaglionamento dei lavoratori: i primi a tornare al lavoro sarebbero i diretti, poi quelli dell’indotto (entrambe le categorie composte solo di residenti nell'ambito regionale, allo scopo di limitare trasferimenti e traffico), per poi arrivare progressivamente a tutti i lavoratori.

I numeri di Fincantieri
Il più importante complesso cantiere navale d’Europa e il quarto al mondo (dopo i giganti asiatici di Corea, Cina e Giappone): questa è Fincantieri. Azienda pubblica, nata dall’Iri nel dicembre 1959, è oggi controllata per il 71,6 per cento da Fintecna, società finanziaria del ministero dell’Economia e parte del gruppo Cassa depositi e prestiti. “Bisogna dire, però, che il capitale è pubblico ma la gestione è privata”, spiega D’Andrea: “La Cassa depositi e prestiti opera con criteri di gestione privatistici, non vi è alcuna garanzia di controllo statale. Da tempo denunciamo l’assenza d’indirizzo pubblico sulle scelte industriali, o i mancati controlli sulle aziende degli appalti, con ditte affidatarie che non pagano i contributi e le tasse. Insomma, sulla gestione complessiva di Fincantieri c’è un problema”.

Il gruppo è leader mondiale nella progettazione e costruzione di navi da crociera e operatore di riferimento in tutti i settori della navalmeccanica ad alta tecnologia (navi militari, offshore, navi speciali e traghetti a elevata complessità, mega-yacht, riparazioni e trasformazioni navali). “Bisogna sottolineare – argomenta il coordinatore Fiom – che Fincantieri i maggiori utili li fa nel militare, la cui committenza è pubblica, e con quegli utili appiana le inefficienze del settore cruise. Inefficienze causate dall'estrema frammentazione dei processi e da forniture e lavorazioni, ad esempio quelle provenienti dalla Romania, che non rispondono talvolta a criteri di qualità”.

Fincantieri ha sede a Trieste, conta complessivamente 19 mila lavoratori nel mondo e 20 stabilimenti diffusi in quattro continenti. In Italia ha 8.100 dipendenti (di cui il 55 per cento impiegati) e un indotto degli appalti di circa 25 mila addetti (di questi il 20 per cento è in somministrazione), distribuiti in otto stabilimenti: Monfalcone (Gorizia), Marghera (Venezia) e Genova Sestri Ponente per le navi da crociera; Ancona, Palermo e Castellammare di Stabia (Napoli) per le navi da trasporto; Genova Riva Trigoso e Muggiano (La Spezia) per le navi militari.

Numerosi sono i lavoratori extracomunitari: i bengalesi sono la comunità più presente, ma ci sono cantieri in cui si superano le 40 nazionalità. Per tutti questi addetti, in particolare quelli degli appalti (nel cui settore, recita il volantino di presentazione, “manca una reale parità di trattamento, e che a volte si rivela una vera e propria giungla”), la Fiom Cgil nazionale ha realizzato una specifica campagna di tesseramento 2020, dal titolo “Siamo tutti sulla stessa barca”. Manifesti, adesivi e materiali vari sono declinati in più lingue, a partire appunto dal bengalese, per dare “un segnale – aggiunge D’Andrea – sulla priorità che deve avere l’unità dei lavoratori, nonostante le difficoltà di linguaggio, le differenze di diritti e la frammentazione del mondo del lavoro”.

Il bilancio consolidato del 2019: record dei ricavi
“La nostra posizione finanziaria è sana e solida”. Con queste parole Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri, ha presentato il 2 aprile scorso i principali risultati del bilancio 2019, approvato dal Cda nella giornata precedente. I ricavi sono pari a 5,8 miliardi di euro, con una crescita dell’8 per cento rispetto all'anno precedente. L’Ebitda (ossia il margine operativo lordo, l’indicatore che evidenzia il reddito di un’azienda basato solo sulla sua gestione operativa) è di 320 milioni di euro, la marginalità si attesta al 5,5 per cento. Il bilancio del gruppo, però, si chiude con un risultato negativo di 148 milioni di euro (erano 69 in attivo nel 2018), a causa della pessima performance della controllata Vard (per la quale è stato implementato un piano di ristrutturazione a valle del delisting, ossia la revoca della società dalle negoziazioni di Borsa, avvenuta a fine 2018).

Bene anche gli ordini: sono già state acquisite commesse per 8,7 miliardi di euro (28 unità, di cui 13 cruise), il carico di lavoro è di 109 navi, per complessivi 32,7 miliardi. Nel 2019, infine, sono state consegnate 26 unità, di cui quattro navi da crociera, quattro expedition cruise, tre navi militari e tre unità per la Marina militare italiana. “Il settore crocieristico è uno dei più colpiti dall'emergenza, stiamo mettendo in campo tutte le azioni per preservare il carico di lavoro”, ha aggiunto Bono: “Nello stesso tempo stiamo potenziando gli sforzi per garantire efficacemente nuove opportunità nel settore militare, dove la pressione sul nostro portafoglio ordini è inferiore”. Riguardo l’emergenza coronavirus l’amministratore delegato ha precisato che “in questo momento le società armatrici hanno le navi ferme e non hanno ricavi. Quindi lavoreremo con loro per mettere in campo le azioni necessarie per mitigare l’impatto della crisi”.

Lo Stato si espone in favore degli armatori
La cantieristica è uno dei settori industriali più tutelati dallo Stato. L’ultima prova di questa tutela si è avuta con l’emanazione del cosiddetto “decreto liquidità” dell’8 aprile scorso, che ha previsto “misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese”. Il provvedimento, infatti, autorizza la Sace (ossia la società per azioni della Cassa depositi e prestiti attiva nell'export credit) a fornire garanzie pubbliche agli armatori stranieri sugli ordini di 13 navi da crociera, per complessivi sette miliardi di euro, commissionate a Fincantieri prima dell’emergenza coronavirus. La consegna delle navi è prevista tra il 2023 e il 2026. Il decreto ha anche velocizzato e snellito l’iter per le garanzie, rendendolo ancora più allettante per gli armatori, che così possono fare ricorso a crediti pluriennali, a tassi concorrenziali, garantiti dallo Stato (appunto attraverso la Sace).

Ma qual è la ratio del provvedimento, di cui il “decreto liquidità” è solo l’ultima applicazione? Acquistare navi è sicuramente molto costoso, con lunghi tempi di ammortamento e di rientro dell’investimento (non meno di 15 anni). I finanziamenti che le “cruise line” potrebbero trovare sul mercato avrebbero interessi molto ingenti: da qui, l’offerta degli Stati di garantire gli importi degli acquisti, coprendo dunque il rischio degli armatori e, conseguentemente, quello dei costruttori per gli eventuali mancati pagamenti. Nel caso italiano, dunque, la Sace fornisce alle compagnie internazionali di navigazione le garanzie chieste sia dalle banche che le finanziano sia da Fincantieri, che in mancanza di garanzie non si esporrebbe a costruire una nave che la impegna per mesi (se non anni) e per centinaia di milioni di euro.

L’alveo giuridico di questo ambito è regolato da norme dell’Ocse (l’organizzazione che fornisce la cornice per i programmi pubblici di credito alle esportazioni), un sistema che vede meccanismi analoghi adottati anche in Francia e in Germania. I 13 contratti “garantiti” dall'esposizione dello Stato, mediante la Sace, riguardano la costruzione di quattro navi per la svizzera Viking Cruises (per un valore superiore a 1,5 miliardi di euro), tre per la Norwegian Cruise Line delle Isole Bermuda (pari a 2,6 miliardi), infine quattro navi per la svizzera Msc, una nave per l’anglo-statunitense Carnival, cui si aggiunge l’installazione di particolari apparecchiature (scrubber) sulla Msc Magnifica (per complessivi 3 miliardi di euro).

L’organizzazione del lavoro
“La produzione è sempre più fondata sul decentramento e sull'appalto della quasi totalità delle attività produttive”, spiega D’Andrea. A costruire le navi sono, concretamente, le decine di migliaia di lavoratori esterni, che sono i primi a soffrire per questa crisi
. “La dimostrazione ci viene dalle richieste di cassa integrazione”, argomenta D’Andrea: “Delle oltre 400 ditte degli appalti che ruotano attorno a Fincantieri, soltanto 120 hanno richiesto gli ammortizzatori sociali, ossia quelle che hanno una struttura industriale più grande e solida”. E tutte le altre? “Nella stragrande maggioranza dominano i rapporti di lavoro discontinui o precari. E in alcune di queste abbiamo registrato sfruttamento od occupazione irregolare, come poi hanno dimostrato alcune recenti inchieste della magistratura. Queste aziende sono semplicemente sparite, hanno messo i lavoratori in libertà e non abbiamo traccia di cosa faranno alla ripresa”.

C’è quindi una notevole fragilità di tutto ciò che sta attorno all'azienda principale. Ma questo, precisa il responsabile Fiom, è proprio dovuto “al modo in cui Fincantieri ha ripreso a costruire dopo la grande crisi del 2009-2010, ossia con una frammentazione del ciclo produttivo molto estesa. Fincantieri si è spinta moltissimo sulla strada delle esternalizzazioni e del dumping salariale e contrattuale: bisogna ricordare che la nave è una città galleggiante, dentro ci sono lavoratori di ogni tipo e decine di contratti diversi”. Ma c’è di più: il numero dei lavoratori “coperti dai contratti collettivi nazionali è inferiore a quello delle altre aziende di pari dimensione”, e non bisogna dimenticare che “gli addetti delle ditte in appalto sono esclusi dal sistema della rappresentanza sindacale e della contrattazione”.

La smisurata presenza di appalti e subappalti, dunque, è la grande questione di Fincantieri. Perché porta con sé, appunto, rapporti di lavoro precari e discontinui, riduzione dei diritti e delle tutele, fenomeni di sottosalario o di irregolarità contrattuali e contributive. “L’azienda dovrebbe tornare ad assumere, riportando gli appalti a una percentuale fisiologica, senza l’abuso che invece riscontriamo”, riprende D’Andrea. L’emergenza coronavirus, quindi, può essere l’occasione “per ripensare le modalità di tutto il sistema: servirebbe reinternalizzare la costruzione e tutto ciò che fa parte del core business, che è poi la base della cantieristica navale, avendo così anche un maggiore controllo dei processi produttivi”. Alle esternalizzazioni potrebbero essere riservate “quelle lavorazioni che non sono proprie dell’azienda, come la decorazione o l’arredamento”.

In gennaio si è aperto con Fincantieri il tavolo degli appalti. Il primo punto enucleato dalla Fiom è assicurare la piena parità di trattamento fra lavoratori interni ed esterni, a partire dal diritto di partecipazione alle assemblee di sito, alla libertà di accesso ai servizi aziendali (come spogliatoi e navette), al pagamento del pasto da parte delle ditte in appalto. “Chiediamo a Fincantieri – aggiunge l’esponente sindacale – di tutelare i lavoratori nel caso di cambio appalto, in modo che possano continuare a operare all'interno del proprio cantiere, acquisendo il diritto soggettivo alla ricontrattualizzazione”. La Fiom, infine, chiede che vengano messe a disposizione tutte le informazioni sulle ditte in appalto coinvolte (comprensive del numero degli addetti presenti): “Serve per poter controllare la coincidenza fra le ore lavorate e quelle effettivamente retribuite ai lavoratori, una situazione che si presta sovente a fenomeni distorsivi”.

Le prospettive per Fincantieri e il settore
“Per il futuro siamo preoccupati, per i prossimi mesi non si annuncia nulla di buono”, commenta D’Andrea, non nascondendo la sua apprensione in particolare per il settore cruise
. “Le compagnie di navigazione stanno perdendo molti soldi, perché le crociere sono tutte ferme. In questo periodo, inoltre, si vendevano i biglietti per le vacanze estive e autunnali, ovviamente non ci sono prenotazioni”, continua il coordinatore Fiom: “Questa crisi avrà un effetto trascinamento anche sul versante della richiesta di navi da parte degli armatori: per ora non è evidente, ma non potrà non esserci”.

I due cantieri principali di navi da crociera, ossia Monfalcone e Marghera, prima della crisi avevano ordini rispettivamente per dieci e 14 anni. “Bisogna ora vedere di quel portafoglio ordini cosa resterà”, riprende D’Andrea: “In questa fase Fincantieri sta ricontrattando le consegne con gli armatori. L’azienda ci ha detto che ci sono confronti in corso sulle penali, che ovviamente non scattano nel caso di eventi particolari, come appunto la pandemia”. Ma c’è anche un altro aspetto di questo portafoglio ordini così ricco a preoccupare la Fiom, ed è legato a un’altra particolarità (dopo quella delle garanzie statali) del mercato delle navi da crociera.

“Funziona al contrario di quello delle automobili”, spiega il rappresentante sindacale: “Se oggi acquisto una vettura euro 6, il giorno che questa verrà considerata inquinante, e di conseguenza bloccata, io non potrò più circolare”. Nell'acquisto delle navi, invece, fa fede la data in cui viene ordinata. “Il giorno in cui verranno introdotte normative ambientali più restrittive (non dobbiamo dimenticare che le navi da crociera hanno un impatto ambientale non trascurabile), se la nave è stata ordinata ‘prima’ del cambio delle norme, allora potrà continuare a circolare per mare senza impedimenti”. Il grande numero di ordini, dunque, è dato (oltre che dall'alto livello delle maestranze Fincantieri e dalle garanzie statali) dalla “tendenza nel mercato del cruise ad accaparrarsi le possibili lavorazioni per stare tranquilli un po’ di anni. Con la crisi questa dinamica sicuramente cambierà, anche se in quali dimensioni è ancora presto per capirlo”.

La crisi che probabilmente ci troveremo ad affrontare, però, può essere anche l’opportunità per ripartire in una maniera diversa. “Per ripartire in un modo in cui il miglioramento della qualità delle navi prodotte e il maggiore controllo dei processi produttivi si traduca anche nel progresso dei diritti e delle condizioni di chi lavora nei cantieri”, conclude Roberto D’Andrea, coordinatore nazionale Fincantieri e cantieristica navale per la Fiom Cgil nazionale: “Un sistema produttivo che riporta a un numero più lecito gli addetti alle dirette dipendenze e tratta meglio i lavoratori dell’appalto sarà in grado di dare maggiore solidità al settore”.

 

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La Fiom è il sindacato delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della Cgil

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