Italia Lavoro a un bivio. Come le Politiche del lavoro

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Da alcune settimane i lavoratori di Italia Lavoro sono in stato di agitazione. Scadenza dei contratti per 900 tra collaboratori a progetto e contratti a tempo determinato e incertezza sulla collocazione dell'Agenzia nel contesto di riordino del sistema dei servizi per il lavoro alla base dei motivi della protesta. Nelle scorse settimane i lavoratori hanno fatto un presidio davanti alla sede del Ministero del lavoro; il 23 marzo è stato proclamato uno sciopero e si è svolta una manifestazione a piazza Montecitorio per chiedere certezza sulla continuità e centralità delle azioni di Italia Lavoro nel nuovo scenario.

In una lettera rivolta al Ministro Poletti, le tre Confederazioni sindacali sottolineano la perdurante incertezza della situazione, nonostante l'impegno del Ministero ad accelerare l'iter di approvazione del finanziameno dei programmi e assicurare l'apertura di selezioni pubbliche in grado di coprire una fetta consistente della forza lavoro dell'Agenzia fino al 2016.

Questo impegno, infatti, appare teso a prorogare le attività senza una chiara strategia per il futuro, considerando che è contestualmente avviato nel Jobs Act l'iter di costituzione di una Agenzia nazionale per l'occupazione, e che al momento poco si sa circa l'eventuale inserimento della struttura di Italia Lavoro nella nuova entità organizzativa.

A ciò si aggiunga, sottolineano le tre Confederazioni ancora nella lettera al Ministro Poletti, "la contraddizione di un governo e di un ministero che parlano al paese di stabilizzazioni e contratti a tempo indeterminato e alla prima occasione di una azienda pubblica che deve fornire assistenza e servizi per le politiche del lavoro si ritorna alle tipologie più precarie che lo stesso governo dichiara di volere ridimensionare". La forma contrattuale prevalente per le nuove selezioni sono le collaborazioni a progetto, e il Ministero si è impegnato a sostenere accordi aziendali sull'utilizzo delle collaborazioni coordinate e continuative, quando a seguito dei Decreti attuativi del Jobs Act le collaborazioni a progetto non potranno più essere stipulate.

In Italia lavoro, che conta circa 400 dipendenti a tempo indeterminato, non sono pochi coloro che lavorano da molti anni con contratti di collaborazione o che hanno cumulato nel corso degli anni diverse forme contrattuali (collaboazioni a progetto e contratti a tempo determinato).

 

La vicenda di Italia Lavoro si inserisce in una fase di profonda trasformazione dei modelli di protezione sociale dal rischio della disoccupazione.

Ci troviamo in una situazione di passaggio verso un sistema di politiche attive del lavoro simile a quelli già esistenti da diversi anni nei principali paesi europei. Ma è ancora un limbo, con un quadro legislativo, isituzionale e organizzativo in evoluzione. Pensiamo, ad esempio, al fatto che in Italia i soggetti che erogano i sussidi di disoccupazione e i servizi per il lavoro sono differenti: rispettivamente l'INPS e i centri per l'impiego.

Lo stesso concetto di diritto al lavoro è caratterizzato da profondi mutamenti, da un contesto culturale e politico nel quale esso implicava anche l'impegno dei pubblici poteri a intervenire direttamente nella creazione di posti di lavoro, ad un nuovo contesto nel quale l'impegno dello stato si traduce in un'offerta di servizi e opportunità per le persone, che devono "attivarsi" individualmente nella ricerca e conservazione del posto del lavoro in the market.

Piena occupazione? Da Beveridge alla "Garanzia Giovani"

La piena occupazione non è, diceva Beveridge, il riformatore sociale che applicò le idee di Keynes nel dopoguerra in Inghilterra, “assenza assoluta di disoccupazione”, ossia il fatto che gli individui debbano essere impegnati produttivamente per tutti i giorni della loro vita; essa consiste invece in una condizione in cui “la disoccupazione è ridotta a brevi intervalli di attesa, con la certezza che molto presto si verrà chiamati per tornare al proprio posto o per coprirne uno nuovo che rientri nelle proprie possibilità”.

Per raggiungere una situazione del genere, sottolinea Beveridge, è necessario innanzitutto che i posti di lavoro vacanti che offre il sistema produttivo siano sempre in numero maggiore di quello dei disoccupati. Tale condizione quantitativa, anche se necessaria, non è però sufficiente. Occorre infatti che i posti offerti siano qualitativamente non troppo difformi dalle aspettative dei disoccupati: tanto le aspettative di retribuzione e di localizzazione territoriale, quanto quelle concernenti i profili professionali richiesti in rapporto alle professionalità possedute.

E' vero, non siamo più nel tempo di politiche per la piena occupazione, e la "certezza" di poter occupare un posto di lavoro non è garantita da nessuno. Tuttavia è altrettanto vero che senza un sistema produttivo dinamico, che crei volumi significativi di posti di lavoro non è possibile fornire opportunità concrete ai cittadini che siano alla ricerca di un lavoro, e per giunta di qualità come si prefigge il recente programma europeo "Garanzia Giovani".

La creazione di posti di lavoro è compito delle imprese, con il sostegno delle politiche industriali e di sviluppo economico.

Le politiche attive per il lavoro devono aiutare i disoccupati e le aziende a incontrarsi, attraverso servizi di orientamento al lavoro, accompagnamento personalizzato alla ricerca di opportunità, servizi di formazione per migliorare le competenze possedute, incentivi economici per l'assunzione di personale etc.

Altro pilastro fondamentale che deve reggere le politiche del lavoro è la presenza di un sistema di ammortizzatori sociali che preveda un sussidio di carattere universalisitico. Altrimenti, visto che il "posto fisso" non esiste più, come si fa a garantire reddito e autonomia a chi è in cerca di un altro lavoro?

Attualmente il dibattito italiano è molto concentrato sul ruolo dei servizi pubblici per il lavoro, bersaglio di critiche sulla loro inefficienza e inefficacia, a dispetto dei servizi privati a cui le riforme del mercato del lavoro degli ultimi anni hanno assegnato un ruolo sempre più rilevante, in linea con le linee guida comunitarie.

Indubbiamente i centri per l’impiego, specialmente nel sud, manifestano grandi difficoltà nel rapportarsi con i bisogni sociali emergenti, anche perchè, come ricordato prima, situati all'interno di un sistema ancora "monco", privo della possibiltà di riunificare sussidi e servizi per il lavoro. Inoltre, in questi anni, spesso, le risorse messe in campo per svilupparli non sono state spese nel modo migliore.

Per avere però un’idea di come stanno effettivamente le cose occorre fare un confronto con quanto avviene negli altri paesi europei.

Come ricorda l'OCSE nel suo ultimo rapporto (Overview Italy 2015), l'Italia spende per le politiche attive del lavoro poco più della metà rispetto alla media europea.

Tradizionalmente l’Italia spende di più nella formazione professionale, negli incentivi alle assunzioni, spesso poco efficaci e non oggetto di una valutazione di impatto indipendente, e poco nei servizi per il lavoro. Ad esempio, paesi come Danimarca e l’Olanda con una dimensione demografica assai inferiore a quella dell’Italia e con tassi di disoccupazione più bassi, spendono 3 volte di più.

Per dare un’idea concreta, bisogna considerare il rapporto tra operatori e utenti dei serivizi personalizzati di accompagnamento al lavoro.

Il personale dei Centri per l’impiego in Italia è di circa 9000 unità, mentre nel Regno Unito il personale di Job centre Plus è di 67.110 unità, in Francia Pole Emploi conta quasi 50 mila addetti, infine in Germania l’agenzia nazionale ha 115 mila dipendenti!

Se si considera il rapporto tra operatori dei servizi e disoccupati, in Italia ogni operatore ha in carico 245 utenti, mentre in Francia ogni operatore ne ha in carico 54, in Germania 28, nel Regno Unito 19. Il numero di utenti dei servizi nel nostro paese si raddoppia se si considerano i disoccupati + gli inattivi (ogni operatore ne ha in carico 584!).

Come è evidente, ci troviamo in una situazione in cui il problema non è certo quello di un esubero del personale che opera nei servizi, semmai di un suo rafforzamento in termini quantitativi e qualitativi.

Per ciò che riguarda le agenzie private per il lavoro, come sottolinea l’ISFOL nella sua indagine periodica sui canali di intermediazione e ricerca di lavoro, rappresentano una realtà in crescita ma ancora poco consistente nel panorama Italiano.

Il futuro di italia Lavoro

In questi anni Italia Lavoro ha assunto la fisionomia di un'Agenzia nazionale delle politiche attive in un contesto caratterizzato dal decentramento amministrativo, che ha dato alle Regioni la competenza fondamentale sulle politiche del lavoro.

Il decentramento ha prodotto buoni risultati in alcune regioni, ma la sua applicazione non può essere ritenuta soddisfacente sul piano nazionale, scontando difficoltà di coordinamento tra livello nazionale e livello regionale, carenze nella disponibilità delle informazioni indispensabili per monitorare, valutare e riprogrammare le politiche, e livelli molto differenti di erogazione dei servizi da territorio a territorio.

I programmi di Italia Lavoro hanno svolto un ampio spettro di attività che va dall'assistenza tecnica alle regioni per l'attuazione di politiche come l'apprendistato, al rafforzamento della rete dei servizi pubblici e privati, fino alla gestione di bandi per la erogazione di incentivi economici alle imprese per assumere personale.

Come emerge dalle considerazioni appena fatte, tutto il sistema pubblico (ma anche del privato) deve essere potenziato per rispondere alle esigenze dei cittadini che hanno necessità di cercare un lavoro.

Visto che tanto lavoro deve essere fatto, non è difficile immaginare un ruolo per le 1300 persone che lavorano in Italia Lavoro, garantendo la possibilità di operare nei programmi nazionali di politica attiva in questa fase transitoria, e disegnando una collocazione ad hoc nella nuova organizzazione dei servizi per il lavoro, nel contesto che sarà centrato sulla nuova Agenzia per l'occupazione.

Occorre però avere la consapevolezza che tanto le istituzioni (la Governance dei Ministeri e delle Regioni) quanto i servizi pubblici per l'impiego devono fare un grande sforzo per offrire delle risposte concrete ed efficaci ai bisogni dei cittadini. Questo naturalmente vale anche per Italia Lavoro.

Non ci sono risorse pubbliche sufficienti, come dimostra l'esperienza italiana, senza una forte crescita nella qualità del lavoro e senza un forte orientamento al risultato alla base del lavoro pubblico.

E' necessario fare grandi miglioramenti nella programmazione, erogazione, controllo, monitoraggio e valutazione dei servizi per il lavoro.

Se si sceglie questa prospettiva, la vertenza di Italia Lavoro rappresenta non solo la giusta richiesta di protezione dalla perdita del lavoro, come avviene in tutte le vertenze occupazionali che impegnano parti sociali e istituzioni, ma anche la rivendicazione di una professionalità che i lavoratori dell'Agenzia possono mettere a disposizione per fronteggiare la crisi occupazionale nel nostro paese.