Le vite spericolate del lavoro

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container

La Sicom è una piccola azienda di Cherasco, occupa un'ottantina di dipendenti, costruisce container.

Come molte nella provincia della provincia di Cuneo, è un'azienda padronale nella quale il sindacato non ha mai messo piede. Qualche mese fa unatrentina di quei lavoratori ci hanno contattati raccontandoci della loro condizione e lì abbiamo eletto la rsu e gli rls.

Lavorare "in quota" saldando i container, lavorare con impianti obsoleti e malfunzionanti nel reparto di sabbiatura e saldatura era un fatto normale ma divenuto insopportabile dopo vari infortuni gravi avvenuti negli anni. Il nemico più grande per noi è stata la totale mancanza di cultura della sicurezza dei preposti e - in parte - dei lavoratori stessi. Durante il corso sulla sicurezza organizzato dalla Fiom nazionale le domande dei delegati Sicom l'hanno fatta da padrone, la loro determinazione e il loro coraggio in questi mesi hanno spinto l'azienda a investgire come non accadeva da anni, ma il loro lavoro quotidiano continua nella fatica di rapporto con dei preposti che direttamente o indirettamente si oppongono al cambiamento e con un'azienda che prova a non riconoscerli.

La situazione che abbiamo trovato in Sicom è probabilmente diffusa nel nostro territorio, in particolare nelle oltre 1500 aziende artigiane sotto i 15 dipendenti dove il controllo e l'azione sindacale sono assenti. Questa è la ragione principale del nostro lavoro di sindacalizzazione, non un

obbiettivo secondario ma la necessità di controllare e quindi difendere la vita di molti lavoratori che ancora oggi vivono la loro stessa sicurezza come un elemento da mettere a disposizione in cambio di un lavoro. Durante il corso sulla sicurezza che la Fiom nazionale ha tenuto sul nostro territorio i punti sui quali si è più a lungo discusso sono stati quelli più basilari: "Posso d'avvero fermare la produzione a fronte di un'oggettivo pericolo?", "l'azienda è obbligata a concedermi il permesso se lo chiedo?", "lo spresal è obbligato a intervenire? Domande che sottolineano come il rinnovo di una grande parte dei nostri delegati in questi ultimi anni renda urgente e fondamentale un forte intervento formativo da parte nostra.

Accanto a queste piccole realtà, nelle grandi aziende sia padronali che multinazionali, se il problema non è lavorare in piedi su un container senza protezione, per certo abbiamo perso negli anni il controllo sull'organizzazione del lavoro: in aziende come la Merlo, ad esempio, 760 dipendenti, il problema riguarda i carichi e i ritmi di lavoro. L'azienda rifiuta il confronto richiesto dalla Rsu attaccandosi al Ccnl che nel suo ultimo rinnovo separato ha superato il ruolo di contrattazione dei delegati su orari e organizzazione del lavoro. Senza quel confronto, senza quella

contrattazione (tutta da riconquistare) l'azienda impone metodologie che non consentono il recupero psicofisico e obbliga i lavoratori a operare in posizioni disagiate. La Merlo è una fabbrica dove la percentuale di lavoratori con limitazioni dovute a patologie da sforzo ripetuto è altissima. In realtà multinazionali come la Valeo(che ha investito molto sulla sicurezza e che vanta spesso il proprio record di assenza d'infortuni) il problema viene amplificato dalla presenza consistente di lavoratori interinali, ai quali vengono attribuiti ritmi e carichi insostenibili.

Di fronte alla crisi ci si difende, in ottica aziendale, aumentando la produttività nel modo peggiore, si usa la ricattabilità delle persone per spingerle a dimostrare un impegno che supera spesso i limiti della sicurezza: qualche giorno fa un giovane precario del reparto presse adibito al trasporto di un rotolo di lamiera da taglio di 22quintali, cercando di aggiustarne la traiettoria si è maciullato una mano contro la paratia di incastro.

Quando diciamo che la sicurezza è la priorità della nostra azione politica e sindacale, stiamo parlando a queste situazioni, ripartiamo drammaticamente dal secolo scorso.

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