L'intervista a Francesca Re David su Il Secolo XIX

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«Nessuno di noi si è mai trovato a gestire un'emergenza di questa portata, è esplosa addosso a tutti, va gestita. Il governo avrebbe dovuto prescrivere da subito le condizioni di lavoro, la firma del protocollo tra le parti ha cambiato il passo. Sdamo firmando accordi in molte aziende metalmeccaniche, la sfida è raggiungere le realtà più piccole e meno sindacalizzate». Francesca Re David, segretario generale della Fiom, racconta come i grandi gruppi stiano dimostrando di «avere compreso l'importanza della collaborazione. Solo Fincantieri - aggiunge - fa eccezione».

Un'emergenza mai vista.

«Stavamo per entrare nel vivo della trattativa nazionale sul contratto, è esplosa addosso a tutti noi. I lavoratori sono i cittadini, ascoltano gli stessi messaggi ("restate a casa"), hanno le stesse paure, devono andare a lavorare, prendere mezzi pubblici. C'è grande spaesamento».

Quale tipo di consapevolezza trovate nelle imprese?

«Dipende. In molti casi abbiamo firmato accordi prima del protocollo, in altri abbiamo dovuto arrivare alla mobilitazione».

Crede che il governo avrebbe dovuto fermare anche le fabbriche?

«Il governo avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di prescrivere come si lavora nella fabbriche, invece ha rinviato alle parti sociali. La firma del protocollo ha poi dato una spinta forte agli accordi, anche se ne avevamo già firmati prima, in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, le zone più critiche. I luoghi di lavoro vanno sanificati e le condizioni di lavoro devono rispettare le prescrizioni di sicurezza. Il problema sta anche in come è strutturato il sistema».

Le multinazionali?

«Quelle hanno la testa fuori dall'Italia, non è semplice. La sfida più grande è tutelare il lavoro nelle aziende più piccole e meno sindacalizzate, il mondo degli appalti. I lavoratori vanno protetti tutti, i me- dici e gli infermieri così come i metalmeccanici che lavorano nei perimetri degli ospedali. Serve l'impegno delle parti sociali, ma anche delle Asl e delle prefetture».

Fca, Thales, Leonardo, ArcelorMittal, Ansaldo Energia. Avete trovato accordi con tutti tranne con Fincantieri. Perché?

«Fincantieri è l'unica grande azienda che ha rifiutato il confronto, facendo una scelta che non è prevista dalla legge. Non si può chiudere ora e - per avere la certezza che in estate siano tutti in cantiere imporre ferie ancora da maturare. Abbiamo moltissimi strumenti per gestire chiusure e rallentamenti, dalle ferie arretrate alla Cig per Covid-19 ai permessi. L'idea di far fare ai lavoratori le ferie future non ha fondamento giuridico. Un atteggiamento di comando non giova a nessuno. Spero si possa riaprire quanto prima il dialogo».

Fincantieri argomenta la scelta con la necessità di produzione, il dover recuperare il tempo perso sulla consegna delle navi.

«Siamo tutti consapevoli che ci sarà un tema di recupero, nessuno si tirerà indietro, ma credo che toccherà a tutto il sistema e anche all'Europa affrontare i problemi di produzione e di consegna».

Vi aspettate un grande ricorso alla Cig da Covid-19?

«Enorme. In Veneto le richieste di cassa integrazione, prima del decreto del governo, erano già aumentate del 40%. Ma la sanificazione va fatta e la distanza va rispettata, quindi in fabbrica si lavora in numero ridotto. L'attuale è una prima iniezione di risorse pubbliche, ne serviranno altre. L'Europa dovrà farsi carico della situazione con misure forti sulla liquidità».

Conte ha detto che a emergenza finita dovremo rivedere le regole del nostro libero mercato.

«Negli ultimi anni ci siamo ubriacati di libero mercato, in Italia più che altrove. Abbiamo pensato che il mercato si sarebbe auto-regolamentato, perso asset fondamentali, indebolito il sistema produttivo. Siamo diventati fragili. Non è l'emergenza virus, è quel modello che non funziona, il modello dell'ognuno per sé. L'Italia, l'Europa, dovranno ripensare il proprio ruolo».

L'accordo Mittal-commissari di cui II Secolo XIX ha dato notizia lascia fuori per sempre i 1.800 in Cig.

«Quell'accordo non ci è mai stato fornito. Trasforma i 10.700 dipendenti di oggi in dipendenti a fine piano e lascia a terra 1.800 lavoratori, mentre l'accordo sindacale del 2018 e l'accordo di programma di Genova garantiscono una salvaguardia. Per noi questo è un limite invalicabile, dev'essere chiaro».

Entro il 31 maggio serve un nuovo accordo sulla cassa integrazione.

«Intanto ci venga fornito l’accordo. A Taranto, a giugno finisce l'ordinaria. Ma di certo non posso fare un accordo di Cig che valida un piano industriale che non conosco, di una proprietà che non so chi sarà a novembre».

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