Venerdì, 13 Dicembre 2024

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Ex Alstom: non spegnete la luce a Sesto San Giovanni

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Schiacci un interruttore, si accende una lampadina e la stanza si illumina. Non è magia, è energia elettrica, figlia dell’ingegno e del lavoro, “prodotto” di un processo di trasformazione che necessità di macchinari sofisticati.

Quello che fanno e che vogliono continuare a fare i giovani lavoratori (l’età media è sotto i 40 anni) della ex Alstom Power oggi General Electric di Sesto San Giovanni, è il cuore di quel processo. Dai cancelli dell’impresa, che non a caso sta in via Edison, escono infatti i componenti fondamentali delle centrali elettriche di mezzo mondo.

Un tempo l’azienda si chiamava Ercole Marelli, fondata nel 1891 e messa in liquidazione del 1981. Poi, dopo una serie di altre imprese, nel 1999 arrivarono Alstom e Abb in una joint venture di cui alla fine la multinazionale francese assunse completamente il controllo.

Il 2 novembre del 2015, al termine di una operazione tra Alstom e General Electric a suon di cessioni e acquisizioni, il settore della produzione e della distribuzione di energia di Alstom è passato nelle mani del colosso statunitense.

Il 13 gennaio del 2016 GE ha reso pubblico il suo “piano industriale” per l’Europa: 6.500 licenziamenti di cui 249 (223 entro il 2016, 26 nel 2017) nella fabbrica di Sesto che di fatto cesserebbe l’attività.

Per i vertici di GE si tratta di un “passo necessario per aumentare la competitività del business ex Alstom” (ma certo, il business…).

Per chiunque abbia un minimo di intelligenza, l’intera operazione che comprende l’annunciata dismissione dell’impianto di Sesto non ha nulla a che vedere con ciò che si lì produce, con i macchinari, con la competenza e professionalità presenti e neppure con il “costo del lavoro”. E basta con questa sorta di mantra demenziale: le frontiere (spesso blindate) esistono per le donne, gli uomini, i bambini, mentre imprese e capitali che possono muoversi liberamente troveranno sempre un luogo dove si lavora con meno diritti e per compensi più bassi.

Il costo del lavoro non c’entra, la partita, infatti, si gioca su un altro tavolo ed è politica perché riguarda il controllo sulla produzione di energia e, quindi, attiene all’autonomia di un paese.

E se questo è il contesto, allora il destino della fabbrica non riguarda solo i lavoratori, noi e chi (a partire dall’amministrazione comunale di Sesto) si è schierato al loro fianco ma chiama in causa il governo del paese.

E’ grave che in questa (come in altre vertenze strategiche) il premier e i suoi ministri non abbiano ancora aperto bocca.

Certo, è più facile raccontare le meraviglie del jobs act con le centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro che ha creato (?), che ragionare di politica industriale.

Certo, è più facile produrre norme che massacrano i diritti del lavoro che porre dei vincoli allo strapotere delle multinazionali che vengono nel nostro paese non per investire (anche questa è una favola bella che ci continuano a narrare), ma per depredare marchi, brevetti, progetti, commesse, e poi se ne vanno altrove lasciando sul campo macerie.

Eppure basterebbe avere almeno la decenza di ascoltare i lavoratori per capire che l’esito della vertenza ex Alstom Power riguarda il futuro. Basta farsi descrivere dagli operai la l’azienda che conoscono, sanno far funzionare e che sono persino capaci di disegnare ai margini di un volantino dal titolo “#GEsestodevevivere”, per rendersi conto dello straordinario patrimonio che rischia di essere distrutto.

Basta farsi raccontare cosa esce dalle loro menti e dalle loro mani per condividere la loro lotta.

In via Edison sono stati progettati, prodotti, testati i componenti dei generatori per centrali elettriche italiane, del Nord Africa, Medio Oriente, Sud America e Sud Est Asiatico.

“Il più grande statore che abbiamo creato – dicono con orgoglio i lavoratori – pesava 350 tonnellate ed è stato assemblato per una centrale Svizzera.

Ma l’importante non è solo costruire il pezzo, fondamentale è calibrarlo. Per questo abbiamo una camera blindata (nel nostro paese ce ne sono solo tre) dove, dal 1986 a oggi, abbiamo bilanciato più di 300 rotori destinati ad altrettante centrali”.

“Oltre alla produzione c’è il ramo del service: squadre di ingegneri e tecnici che vengono spediti dove serve per gli interventi di manutenzione o per risolvere i problemi ai quali vengono forniti i pezzi per riparare i guasti”.

Per GE tutti gli operai della fabbrica e gran parte dei lavoratori del service sono esuberi, l’unica cosa che, per ora, potrebbe restare sono i circa 75 dell’environmental control systems che si occupano di controllo ambientale per le centrali.

Non deve finire così. All’annuncio degli esuberi è iniziata la lotta.

Il 15 gennaio i lavoratori hanno sfilato per le vie di Milano chiedendo e ottenendo un incontro con il nuovo prefetto, il 22 gennaio hanno raggiunto in corteo piazza della Resistenza dove l’amministrazione comunale di Sesto aveva invitato i sindaci dei comuni di residenza di almeno un lavoratore ex Alstom. Quell’incontro, cui hanno partecipato i rappresentanti di 26 amministrazioni locali, si è concluso con la sottoscrizione di un appello che inizia con “Caro Presidente” (del Consiglio) e recita “riteniamo che l’Italia non debba farsi sottrarre un patrimonio di competenze che rappresentano un’eccellenza a livello mondiale e che il nostro paese non debba essere semplice spettatore di queste scelte (…) per queste ragioni chiediamo con forza al governo di garantire la continuità della produzione e dell’occupazione dello stabilimento sestese e di organizzare urgentemente un tavolo presso il ministero dello sviluppo economico”.

E’ quello che chiediamo da tempo, inascoltati. Così come, per ora, restano inascoltati i rappresentanti di 26 comuni, tra cui Milano.

In compenso apprendiamo dalla stampa che il “Caro Presidente” pare abbia scelto di incontrare Jeff Immelt, amministratore delegato di GE, che sarà in Italia nella prossima settimana per il meeting annuale di GE Oil & Gas, mentre il colosso americano si appresta a festeggiare una commessa da 329 milioni per il miglioramento della rete elettrica in Iraq.

In quel di via Edison la lotta continua, dentro e fuori dall’azienda.

Da domenica 24, davanti al cancello da cui in genere passano i pezzi per raggiungere la loro destinazione finale, c’è il presidio permanente (“la casetta”, come la chiamano i lavoratori) perché una cosa è certa: “il pezzo pronto per la centrale elettrica in Libano, per ora non esce da qua…”.

“La casetta” (ammantata dalle bandiere della Fiom), i lavoratori e chi ha deciso di schierarsi al loro fianco, la Fiom contro la potente General Electric e i suoi potenti amici: “Mi sa che ci conviene attrezzarci, perché sarà dura….”. Si, sarà dura, ma la partita è appena iniziata: adelante.

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La Fiom è il sindacato delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della Cgil

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