La tela di Alexis: le radici sociali della vittoria di Syriza

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SYRIZA TSIPRAS

 

Il giorno in cui si deciderà di conteggiare le vittime della crisi, la Grecia risulterà prima anche in questa triste graduatoria. Qualche giorno fa, il quotidiano To Vima ha pubblicato un po’ di cifre, frutto di uno studio condotto dal British Medical Journal: dal giugno 2011, quando hanno cominciato a entrare in vigore le misure di austerità imposte dalla troika, i suicidi sono aumentati del 35,7 per cento. In particolare, a incidere sarebbero state le riduzioni salariali nel settore pubblico e i tagli al welfare. Nel triennio precedente, vale a dire nei primi anni di recessione, il numero di persone che si erano tolte le vita era a sua volta superiore del 35 per cento rispetto agli anni precedenti. Basta farsi un giro ad Atene per dare un volto a queste storie. Dal caso più eclatante, l’uomo che si diede fuoco in piazza Syntagma nell’aprile del 2012, come un Jan Palach dei tempi dell’ordoliberismo, fino al più recente attore finito in disgrazia che qualche settimana fa si è ammazzato perché non sarebbe andato in pensione. Alla Ert Open, la radio-tv autogestita dagli ex giornalisti e tecnici della radiotelevisione di Stato chiusa da un giorno all’altro dal governo Samaras, su una parete sono affissi i volti dei loro caduti: una giornalista volata dal terzo piano della tv a Salonicco, un altro morto d’infarto nel suo ufficio, un altro ancora stramazzato mentre gli confiscavano la casa.

Bisogna tenere in considerazione la gravissima crisi umanitaria che sta stritolando il Paese per comprendere il successo elettorale di Syriza, e prima ancora le esplosioni di rabbia e la diffusione del mutuo soccorso (nella sola Attica, la regione della Grande Atene che ha quasi la metà degli abitanti dell’intera Grecia, si contano 180 tra farmacie e ambulatori autogestiti), e finanche le guerre tra poveri delle quali fanno le spese i paria per eccellenza della società: gli immigrati. Charles Branas, docente dell’Università della Pennsylvania, ha sostenuto che il tasso di suicidi non è influenzato solo dalle politiche finanziarie dei governi ma anche dai “messaggi pubblici” che le accompagnano.

Ecco così spiegati gli slogan elettorali di Syriza, quel “la speranza sta arrivando” contrapposto alla “politica della paura” del governo della troika, una sorta di “no future” disperante al quale questa volta la maggioranza dei greci ha detto no. Con quest’esigenza di fornire vie d’uscite concrete si motiva il pragmatismo del cosiddetto “programma di Salonicco” (così detto perché fu diffuso da Alexis Tsipras nella capitale della Tessalonica), fondato su proposte perfettamente realizzabili e su poche idee di fondo: dare un sollievo immediato a quel terzo della popolazione finito sotto la soglia della povertà, innanzitutto, garantendo loro che non rimarranno senza luce e acqua, che potranno mettere insieme un pranzo e una cena e che avranno un’adeguata assistenza sanitaria; rianimare una classe media dissanguata dalle politiche di austerità, dichiarando impignorabile la prima casa, cancellando una tassa particolarmente contestata fondata su valori catastali assolutamente fittizi e stabilendo che balzelli e debiti si pagano in proporzione non superiore al trenta per cento del reddito di ognuno; infine, colpire l’evasione fiscale e la corruzione, perseguendo chi non paga e tassando i grandi patrimoni. In buona sostanza, un progetto di redistribuzione di redditi e risorse per evitare che i costi della crisi si scarichino solo su una fetta di popolazione.

Il “partito sociale”, radicato nei quartieri operai e del nuovo sottoproletariato sottratto alle sirene neonaziste di Alba Dorata, ha preparato il terreno per la vittoria della coalizione della sinistra radicale, nonostante Syriza abbia ben pochi addentellati nei sindacati, a differenza dei cugini-coltelli del Kke, il partito comunista tuttora avvinto da nostalgie filosovietiche e simbologie da Piazza Rossa, che invece controllano l’unico sindacato realmente non filogovernativo al tempo delle larghe intese: il Pame. E’ quest’ultimo che ha organizzato decine di scioperi generali dal 2008 a oggi, portando in piazza i portuali del Pireo e i lavoratori delle fabbriche che delocalizzavano (in Grecia ricordano in particolare il caso della Siemens e quello della Coca Cola, scappata in Bulgaria). Syriza è stata vicina a molte esperienze di lotta che hanno formato quadri sindacali nuovi: quelle dei comitati nati nei quartieri per impedire sfratti anche solo per poche centinaia di euro e distacchi di energia elettrica o di acqua, dei movimenti contro le privatizzazioni, dei movimenti altermondialisti attivi fin dai tempi del G8 di Genova (dove l’attuale sottosegretario alla Marina Mercantile, Thodoris Dritsas, militante in un piccolo gruppo denominato “Rivoluzione socialista” ai tempi della dittatura militare, pireota doc, assaggiò le manganellate della polizia italiana al porto di Bari, quando la nave dei no global diretti a Genova fu bloccata e respinta in Grecia) e ha sostenuto la resistenza dei lavoratori della tv pubblica Ert chiusa dal governo e delle donne delle pulizie licenziate dal ministero dell’Economia, le due vertenze simbolicamente più forti degli ultimi anni. Non si è tirata indietro quando, nel dicembre del 2008, il quartiere di Exarchia, a un passo dal centro di Atene, esplose per l’uccisione da parte della polizia di un ragazzino di 16 anni, Alexis Grigoropulos. Questo gli ha conquistato i consensi di gran parte dei movimenti sociali e persino degli anarchici, stanchi della repressione.

E’ un percorso che merita di essere raccontato per esteso, quello di questo singolare soggetto politico. Quando Alekos Alavanos, segretario del Synaspismos, la formazione erede del vecchio Partito comunista dell’interno, ebbe l’idea di allargare la sinistra ai movimenti sociali, si trovava a guidare un partitino di ultrasessantenni chiuso e burocratizzato. Riuscì a compiere un mezzo miracolo, aprendo le porte alla generazione di Genova, federandole senza sciogliere il vecchio partito. Nella nascente Syriza non si poteva confluire a titolo individuale, ma solo come organizzazioni. Studiarono molto, i greci dell’ultrasinistra, il modello dei Social forum, a partire da quello di Firenze (che tutti i protagonisti di quella generazione indicano come un momento fondativo), al punto che qualche anno dopo ne organizzarono uno pure ad Atene. Al nuovo partito aderirono undici formazioni che, dopo qualche anno, decisero di sciogliersi, qualcuna di loro rimanendo come corrente organizzata. Di queste, gli appartenenti al vecchio Synaspismos (fuoriusciti dal Kke nel ’91, quando si arrivò alla scissione tra “riformisti” e “ortodossi”), rappresentano circa un terzo. Negli ultimi tempi è accaduto che Alavanos, che era stato il “padrino” di Alexis Tsipras ai tempi del rinnovamento, ha rotto con quest’ultimo ed è uscito dal partito che pure aveva fondato, finendo in una piccola formazione di sinistra anticapitalista, Antarsya, che alle ultime elezioni non è riuscita a entrare in Parlamento. A Syriza si sono avvicinati anche molti ex socialisti del Pasok, e l’apertura è stata più volte rimproverata a Tsipras. Infine, si è assistito alla scissione della Sinistra democratica (Dimar), che prima è finita nel Pasok e poi si è presentata da sola alle elezioni, rimanendo esclusa dal Parlamento.

Nel frattempo Syriza si era radicata nel territorio, la linea politica di scontro con la troika e i governi fantoccio delle larghe intese e la leadership del giovane segretario ne trainavano i consensi, così come la presenza nelle piazze della protesta, le vecchie sedi poco frequentate venivano trasformate in mense sociali e alla mancanza di quadri si sopperiva attingendo a piene mani dalla militanza non organizzata. Il braccio sociale del partito si chiama Solidarity4all e ha una propria sede, vicino all’università di Atene. Ad essa fanno capo le 180 cliniche e mense autogestite nate in tutta l’Attica per dare assistenza sanitaria e cibo a quella fascia di popolazione che ne è rimasta priva. La gran parte di queste strutture di mutuo soccorso non è direttamente riconducibile al partito e funziona grazie a donazioni private di farmaci (da parte di familiari di persone decedute, ad esempio), alle prestazioni volontarie di centinaia di medici, al di fuori del loro orario di lavoro, e alla rete di dottori che si prestano a fare clandestinamente negli ospedali esami altrimenti molto costosi. Solidarity4all, alla quale ogni deputato di Syriza versa il trenta per cento dello stipendio, ci mette il resto e soprattutto mantiene un filo tra queste esperienze. Inoltre, la rete si occupa di incentivare la nascita di cooperative per recuperare le fabbriche chiuse. Il caso che ha fatto il giro del mondo è quello della Vio.Me di Salonicco: produceva prodotti chimici e materiale di costruzione per l’edilizia, quando nel 2011 i padroni ha deciso di chiudere lasciando i lavoratori con diciannove stipendi arretrati. Loro hanno occupato la fabbrica e l’hanno riconvertita a una produzione eco-compatibile: ora fanno saponi e detersivi biologici.

 

(1-continua)