E adesso si proceda alla decarbonizzazione. Ma insieme ai lavoratori

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Risalita pubblica e messa in sicurezza di impianti,  lavoratori e ambiente. Sono tra i primi obiettivi da centrare nella vertenza dell’ex Ilva di Taranto per il segretario generale della Fiom Cgil, Michele De Palma.
 
Segretario è stata una settimana impegnativa questa, tra la nomina del commissario, la sua «due diligence» che ha chiamato in causa anche le rappresentanze dei lavoratori e l’incontro a Taranto con il ministro delle Imprese Urso. Partiamo da qui e cominciamo dal commissario Quaranta. Come valuta la situazione?
«È importante il fatto che il commissario nei primi 5 giorni di esercizio della propria funzione abbia incontrato la rappresentanza sindacale. Questo è un punto di partenza, come dire il piede a nostro giudizio lo ha messo in maniera giusta senza tra l’altro dichiarazioni roboanti, ma entrando molto nel merito delle questioni aperte».
 
Tipo quali?
«L’espressione che lui ha utilizzato era quella che noi chiedevamo ormai da più di un anno a questa parte e cioè mettere in sicurezza impianti, lavoratori e creare condizioni ambientali adeguate per rilanciare la produzione. Tutti noi e tutte le organizzazioni sindacali avevano stigmatizzato l’incapacità di confronto mostrata dall’azienda che in qualche caso era diventata addirittura aggressività nei confronti dei lavoratori e dei sindacati. Per questo, abbiamo guardato all’arrivo del commissario con speranza. Io l’ho chiamato accordo di ripartenza».
 
E l’arrivo a Taranto del ministro Urso?
«Faccio una premessa. Parto dalle pressioni a cui sono stati sottoposti le lavoratrici e i lavoratori che hanno difeso gli impianti. La cassa integrazione, la mancanza di manutenzioni e di sicurezza e la mancanza di confronto cioè l’assenza proprio di relazioni. In questo scenario noi chiedevamo la risalita pubblica dell’azienda. A un certo punto il governo decide visto che non si è trovato l'accordo con Mittal, che la soluzione era l'amministrazione straordinaria. Si è chiusa una pagina, ovviamente ora c’è preoccupazione rispetto al futuro. Ma il fatto che il commissario ci dica al tavolo che si vuole lavorare ad una messa in sicurezza degli impianti per rilanciare la produzione e rimettere in equilibrio l'azienda partendo dai lavoratori è una sfida nuova anche per noi».
 
Quello che lei chiama «accordo di ripartenza»?
«Esattamente. Certo per ripartire è necessario che ci siano le risorse. In primis per poter fare le manutenzioni ordinarie e straordinarie e per produrre non recando danno ai lavoratori e nemmeno alla città di Taranto che ha sofferto tanto nel corso di questi anno».
 
Restiamo su questa fase di transizione. Quanto può durare e per voi cosa significa andare verso la privatizzazione?
«L’ex Ilva è un sito d’interesse strategico per il Paese e necessita di una garanzia pubblica, il governo non può permettersi di commettere gli errori del passato. Ora è necessaria una prima fase che è una messa in sicurezza e di rilancio della produzione. Per poterla realizzare ci sono due condizioni: uno il rinnovo evidentemente del contratto di affitto, due le risorse per poter realizzare la ripresa. Dal mio punto di vista è da tenere assolutamente presente che i lavoratori e solo loro hanno salvaguardato l'azienda e ora devono essere loro il punto da cui ricostruire e rilanciare. Penso al tema degli altiforni che sono fermi e richiedono degli interventi immediati, anche perché senza Taranto va in sofferenza tutta la filiera. La fase di transizione sottintende un grande lavoro, ma devo dire la verità anche al tavolo nazionale sul punto, questo il governo ci ha seguito».
 
Si riferisce alla questione manutenzioni?
«Sì. La Fiom ha detto:. Noi abbiamo detto: guardate che il tema delle manutenzioni ordinarie e straordinarie sono anche un problema di emissioni nell'ambiente. Eravamo in una condizione paradossale perché non raggiungevamo i tre milioni di tonnellate ma le emissioni creavano danno lo stesso proprio per la mancanza di attività manutentive. Il danno e la beffa. In questo il governo ci ha seguito quando abbiamo spiegato che era necessario mettere al lavoro i dipendenti delle manutenzioni sia diretti che dell'indotto».
 
Avete altre richieste da fare al governo?
«Riteniamo che un tavolo alla Presidenza del Consiglio vada riconvocato perché c’è il tema della conversione del decreto e bisogna creare le condizioni previste dall’accordo del 2018 che va salvaguardato e vanno tutelati i lavoratori tutti. Ed è necessario iniziare a confrontarci anche in previsione di un eventuale bando, che per noi può anche prevedere una presenza pubblica di garanzia».
 
In questo resto c’è l’ambientalizzazione? La decarbonizzazione e la produzione con i forni elettrici rischia di ridurre i fabbisogno di manodopera...
«L’addendum al piano industriale del 2018 prevedeva due cose: processo di decarbonizzazione ma anche la presenza del ciclo integrale.
Se è una transizione vuol dire che c’è bisogno di un tempo per farla questa transizione anche perché l’installazione di un  forno elettrico ha dei costi importanti e bisogna trovare le risorse per metterlo in opera. E qui si apre un'altra questione, quella del definanziamento del PNRR, risorse che erano stanziate per gli impianti di  DRI e, ad oggi, non ci sono altre fonti di finanziamento per l’avvio della transizione ecologica. E poi c’è un terzo punto. Nei processi di transizione noi da tempo pensiamo che vadano adottati strumenti straordinari per i lavoratori e non solo i classici ammortizzatori sociali che oggi garantiscono la continuità occupazionale. Servono processi nuovi favoriti da un intervento del governo anche attraverso la riduzione di orario di lavoro e la formazione, visto che siamo in una fase di transizione e che la fabbrica per marciare a pieno regime avrà bisogno anche di ulteriori competenze. La transizione non si fa senza i lavoratori dell’ex Ilva e dell’indotto e soprattutto non si fa senza i cittadini di Taranto. La transizione è un processo democratico».
 
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