Perché Macron non ha vinto

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Dalla lotta sulle pensioni alla rinascita del sindacato francese, cronaca di un Primo maggio storico

Una marea di giovani, famiglie, bambini, anziani, lavoratrici e lavoratori, 2 milioni e mezzo dicono i sindacati, un fiume in piena a gridare in faccia al governo che il problema non sono solo le pensioni: è anche la democrazia. “Chiamatela Macronie allora!” su un cartello. Perché di questo si è trattato nello scontro sulle pensioni, di un uomo solo al comando che ha fatto passare una riforma sulla testa delle francesi e dei francesi. Nonostante il parere contrario di tutti i sindacati, del parlamento, della stragrande maggioranza (80%) dell’opinione pubblica, appellandosi all’articolo 49.3 della Costituzione.

Arrivando a Parigi, dopo che la riforma era stata imposta, ci siamo chiesti se questa non rischiasse di essere la celebrazione della fine di una lotta straordinaria, costata 12 scioperi generali e la rottura di ogni rapporto col governo. La manifestazione e il confronto con i compagni ci hanno aperto gli occhi e reso chiaro che sbagliavamo. Quello che conta in Francia, come altrove, è anche il processo e non solo il risultato (tra l'altro ancora non definitivo, vista le altre mobilitazioni fissate). Impossibile rendersi conto, stante la superficiale narrazione che ne viene data all’estero, del processo profondo innescato dal movimento sindacale francese che raggiungerà magari in futuro obbiettivi diversi da quelli attesi nel breve termine. È sempre utile come esercizio accorciare le distanze: se non si è attraversato l’unico corteo unitario del primo maggio francese di tutta la storia repubblicana parlando con i protagonisti è difficile rendersi conto di cosa si è mosso nella società.

Un corteo di giovani, nessuna retorica di contrapposizione tra generazioni, tra garantiti e non garantiti, una incredibile generosità collettiva e tanta consapevolezza.
Cantano le ragazzi e i ragazzi nelle strade: “ci siam battuti per ottenere la pensione e ci batteremo per difenderla” “On est là! Même si Macron le veut pas, nous on est là ! Pour l'honneur des travailleurs et pour un monde meilleur, même si Macron le veut pas, nous on est là” (siamo qui! Anche se Macron non lo vuole, noi ci siamo! Per l'onore dei lavoratori e per un mondo migliore, anche se Macron non lo vuole, noi ci siamo). Nello stesso corteo, sfilano insieme alle generazioni che li han preceduti.

 

L’unità sindacale è un fatto straordinario, ce ne rendiamo conto quando ci consegnano il manifesto del 1° maggio che hanno affisso in città: tutte le sigle sulla stessa pagina per la prima volta, nemmeno la riforma del lavoro ci riuscì, con la cfdt dialogante del 2016. Ma la vera unità che si respira è quella nella società, bene ancora più prezioso dell’unità delle strutture sindacali, per questo, forse, finora tutto ha tenuto: grazie al radicamento unitario che parte dai luoghi di lavoro e un largo consenso intergenerazionale che ha consegnato specialmente alle giovani generazioni (uscite provate dalla pandemia che le aveva isolate) una lotta collettiva, un orizzonte di riferimento. Per questo pensiamo che anche se al momento la legge sia passata, in spregio al dibattito democratico, l’unico perdente sia appunto Macron che ha, nella prova di forza, dimostrato di non avere quella della ragione ne il consenso delle persone, nemmeno di quelle che magari ancora non lavorano.

Un Primo maggio tra le altre cose internazionalista nella pratica: la delegazione Fiom (composta da compagne e compagni della Fiom nazionale e delle Fiom di Bari, Reggio Emilia e Roma) non era la sola straniera a Parigi; agli internazionali è stato infatti dedicato lo spezzone di apertura del corteo dell’intersindacale, nel quale erano i presenti: i segretari generali delle organizzazioni sindacali francesi, la segretaria della CES, il neo-reggente della CSI e poi compagne arrivate dalla Corea del Sud, dal Brasile, dal Lussemburgo, dal Belgio, dalla Spagna, dalla Colombia dall’Ucraina, dall’Inghilterra, dal Gibuti, dall’Afghanistan e da tanti altri paesi dentro e fuori l’unione europea. A tutti noi è stata dedicata una conferenza stampa nella strada, durante il concentramento, tra boulevard Voltaire e rue Jean Pierre Timbaud (segretario dei siderurgici della CGT assassinato per rappresaglia dai nazisti nel 1941 dopo che si era unito alla resistenza e aveva rifondato il sindacato in clandestinità).

  

Durante la conferenza la stampa internazionale ha avuto modo di intervistare tutte le delegazioni per capire le ragioni del sostegno e della larga presenza a Parigi.
La dinamica di piazza per noi davvero disorientante. Si potrebbe dire, leggendo le notizie degli scontri che rimbalzavano sui media italiani, una manifestazione non gestita. In realtà quello che abbiamo potuto osservare sono stati due cortei (uno da République e uno da Belleville) composti da tante anime diverse, con nessuna volontà egemonica, unite della consapevolezza che quella piazza è di tutti e tutti la difendono a prescindere. In testa al corteo, i casseurs, direbbero in Italia i black block ovvero il blocco nero, ma senza nessuna tensione con la testa sindacale subito dietro con dentro i segretari generali delle organizzazioni e la delegazione internazionale. Semplicemente ci hanno risposto che ormai dal 2016 il blocco nero si piazza lì, non c’è molto da discutere. E così dopo una pioggia torrenziale, quando l’animo della testa del corteo si fa frizzante, nessuno si scompone se si debba attendere che terminino gli scontri, ci si ferma, si evita l’onda lunga dei lacrimogeni e si riparte. Il servizio d’ordine del corteo sindacale in testa, età media 25 anni, equipaggiato con mascherine, caschetti, occhialetti protettivi e acqua appesa alla cintura gestisce i tempi ed è del tutto preparato a gestire il proprio pezzo. Famiglie a pochi metri dalle cariche della polizia, che è identificata da gran parte come il vero agente provocatore. Le cariche, infatti, più che lo scopo di reprimere provocazioni quello di spezzare hanno ripetutamente il blocco di testa e così entra ritmicamente a smorzare la marea. La repressione messa in atto da Macron con la polizia dotata anche di droni infatti finirà sotto accusa della pubblica opinione tanto, e di più, dei protagonisti degli scontri alla fine del corteo a Nation.

Il corteo sindacale sfila fino a fine percorso, imperturbabile, anche se a 20 metri va a fuoco un auto arrivano ancora i furgoncini con i palloni delle federazioni sindacali: macchinisti, metalmeccanici, infermieri, insegnanti, il movimento lgbt, le console con chi fa politica rappando, una marea di età e colori diversi, sans papiers (non alla testa del corteo: lì solo giovani bianchi), lavoratori di ogni colore, francesi da pochi mesi o dieci generazioni. Gli slogan riassumono una collera che va oltre l’età pensionabile: c’è la difesa del sistema sanitario, il clima-ma poca pace-, i salari attaccati dall’inflazione (sventola sulla sede principale della CGT un drappo rosso con scritto “aumentare i salari subito” e non il richiamo che ci saremmo attesi alla riforma delle pensioni) insomma tante parole d’ordine generali che ambiscono a un nuovo modello sociale.

 

Macron si è certamente riparato dietro la paura della destra in rimonta (che strizza l’occhio alla piazza) favorita anche dalla crisi della sinistra. C’è però un fenomeno che non è di poco conto e se è vero che il consenso politico può premiare una destra nazionalista che si presenta con la maschera sociale per cavalcare il malcontento, è più significativo dire che in due mesi dal solo sito della CGT, senza contare il tesseramento diretto nei luoghi di lavoro, 30.000 persone hanno deciso di iscriversi al sindacato. Segno che evidentemente il sindacato, forte anche dei rapporti unitari, sia riconosciuto come l’interlocutore e magari se la sinistra politica si rivelerà all’altezza della sfida, avrà allora fatto anche da argine sociale a un’estrema destra che finisce al ballottaggio alle presidenziali da due elezioni. Lo scontro intanto è anche istituzionale, colpisce il municipio di Parigi (pare non il solo in Francia) con due striscioni laterali all’ingresso principale che recitano: “Comune solidale con il movimento sociale” che non ha rimosso le scritte nonostante le critiche di violazione della supposta neutralità istituzionale. Certo, il risultato, al di là della riforma, si vedrà sul lungo periodo, se cioè questa enorme lotta, quale che sia la fine, avrà avuto il merito di far sedimentare specie nei più giovani coscienza collettiva.

Il 2 maggio il governo probabilmente sperava già di poter voltare pagina e passata la marea di poter guardare oltre, tuttavia già in mattina l’intersindacale si è riunito per discutere un nuovo appello alla mobilitazione il prossimo 6 giugno, perché in piazza non si respirava certo aria di smobilitazione generale.

Capiremo in seguito quali saranno gli sviluppi legati alla riforma, sembra infatti che i liberali presenteranno un progetto di riforma all’Assemblée (il parlamento) il prossimo 8 giugno per tentarne l’abrogazione, tuttavia quello che ci è parso di cogliere in quel fiume in piena è mal sovrapponibile interamente alla riforma stessa. Il sindacato ci è parso abbia raccolto un capitale di fiducia, riconoscimento e indirizzo. Della sinistra partitica pochi echi nelle piazze, sono le organizzazioni sindacali al momento che stanno dettando l’agenda. Due giorni di confronto con la CGT, prima e dopo la manifestazione, ci confermano quello che dalla carta stampata e dai tg nostrani non filtra oltre le sassaiole: una grande resistenza e radicamento nei luoghi di lavoro e un potenziale processo profondo di trasformazione della società attraverso una larga composizione della lotta. L’enorme valore di generazioni di ragazze e ragazzi che al coro di “siamo tutti antifascisti!” (in italiano!) e intonando lungo tutto il corteo “Bella ciao!”, scendono in piazza, per difendere le pensioni senza probabilmente aver ancora cominciato a versare i contributi, il consenso attorno al sindacato, il bisogno di un orizzonte di possibilità, la gioia espressa anche nel conflitto che crea un collettivo. Ecco pensiamo che tutta la fatica fatta dai media italiani per affermare che comunque Macron ha vinto e il caso sarà presto archiviato sia distorsiva e funzioni solo se non si parla direttamente con chi sta nelle piazze e nei luoghi di lavoro: sarà sul lungo processo infatti che, vincitori o perdenti, il movimento sindacale-ma dovremmo dire la società- raccoglieranno i frutti di questa mobilitazione.

 


delegazione Fiom-Cgil a Parigi, 1° maggio 2023

 

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