Il Governo aizza gli italiani contro gli ultimi: il Paese si ricuce con il lavoro

Stampa

Il recente Congresso nazionale della Fiom-Cgil ha confermato Michele De Palma nel ruolo di segretario generale dell’Organizzazione con il 96,9% dei voti. A Il Riformista, De Palma declina le sfide e i progetti della storica organizzazione dei metalmeccanici.

“La contrattazione collettiva dei metalmeccanici deve guardare ai giovani e porre al centro la lotta alla precarietà, avendo l’obiettivo di ottenere diritti solidali per tutta la categoria”. Così nelle sue prime dichiarazioni dopo la conferma a segretario generale della Fiom-Cgil. Una sfida estremamente difficile e ambiziosa.

«O il sindacato, lo dico in termini generali e non solo per noi della Fiom-Cgil, è in grado di rispondere a questa sfida oppure le ragioni che hanno portato i lavoratori a costruire, organizzare il sindacato nella storia del nostro Paese, vengono meno. Senza avere questa consapevolezza il rischio è che il processo, in corso da tempo, di perdita di potere del ruolo delle lavoratrici e dei lavoratori diventi irreversibile. E questo è un problema, un rischio enorme, che riguarda la politica ed evidentemente il sindacato. E per coglierne la portata e la gravità, questo fenomeno va analizzato e affrontato nella dimensione in cui è. In questo quadro complessivo ho cercato di affrontarlo nella mia relazione al Congresso. Parlando di “potere democratico”.  Perché di questo si tratta».

In che senso?

«Nel senso che se le persone hanno la percezione che muovendosi e organizzandosi collettivamente non riescono a modificare la propria condizione, si imbattono in un elemento di inutilità del ruolo del sindacato, non solo sul piano della rappresentanza reale, materiale, degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori ma anche dal punto di vista del suo ruolo “politico”, finendo per ridurre il ruolo del sindacato a una funzione di “servizio”. La storia del sindacato in Italia è l’incrocio tra due questioni: la condizione del lavoro e la condizione del cittadino dentro lo stato sociale. Sono due le questioni, i fronti, entro i quali il sindacato agisce. Noi non siamo solo il sindacato del lavoro dipendente. Siamo il sindacato di chi per vivere deve lavorare, che sono le lavoratrici e i lavoratori dipendenti, penso ai metalmeccanici dentro le aziende, ma anche a quelli che chiedono di poter essere occupati. Penso ai giovani dentro il lavoro industriale, che oggi sono in una condizione di precarietà determinata dal fatto che c’è una frammentazione contrattuale che, dallo staff leasing al tempo determinato, alla somministrazione, rappresenta un attacco alla centralità dell’industria. C’è bisogno di un ritorno a una centralità dell’industria e a una stabilità determinata dai livelli occupazionali. La precarietà non riguarda solo i giovani ma anche le lavoratrici e lavoratori che giovani non lo sono più e che sono invece dentro una fase di transizione della propria industria e che corrono il rischio di perdere il loro posto di lavoro».

Nella relazione al Congresso, nelle dichiarazioni a caldo dopo la rielezione, come nell’impegno in questi anni della Fiom-Cgil, c’è la volontà di “frequentare il futuro”. La questione giovanile come grande problema democratico e non solo sociale.

«È proprio così. La misura del futuro ce l’hai nel rapporto con le giovani generazioni e se oggi la osserviamo da un punto di vista della stabilità della prestazione lavorativa, del trattamento salariale, della certezza occupazionale, formativa e così via, abbiamo la netta percezione del fatto che il nostro Paese ha una fortissima criticità su quello che riguarda le giovani generazioni e quindi sul futuro in generale. Tra i lavoratori occupati c’è una media dell’età molto alta, penso ad esempio al Gruppo Stellantis. Un’azienda per avere un futuro deve investire sulle giovani generazioni. Bisogna abbassare la media dell’età dentro quelle aziende, riformando il sistema pensionistico, favorendo l'accesso alla pensione e garantendo gli importi, per rigenerare anche le competenze, le capacità dentro il sistema d’impresa. Nella relazione ho utilizzato due video-storie di ragazze, di giovani donne, di straordinario impatto politico, sociale e anche emozionale. Una che dice di non abbassare più l’asticella e l’altra, una ragazza dell’Università di Padova, Emma Ruzzon, che ha detto “non vogliamo più essere messi in competizione, perché questo essere messi in competizione, questa pressione che noi subiamo sugli standard, produce dei danni alle ragazze e i ragazzi che arrivano all’estremo”. Lei dice "Siamo stanchi di piangere coetanei uccisi dalla competizione". Il sindacato deve sintonizzarsi su queste due traiettorie molto precise. Sono due domande di sindacato quelle che vengono dai ragionamenti che fanno le due ragazze. Con i giovani dobbiamo andarci a parlare, andare dentro le scuole, costruire con la pratica una relazione solida con le nuove generazioni».

Lei ha usato parole molto dure rispetto al Governo, chiedendo a Fim e Uilm la condivisione di un percorso.

«Il Governo e la destra vogliono dividerci e mettere in competizione il Nord contro il Sud, migranti contro italiani, giovani contro anziani, lavoratori a tempo indeterminato contro precari. Occorre costruire insieme “una marcia della dignità” che parta dal Sud e dal Nord, che attraversi città, luoghi di lavoro, fabbriche, scuole e piazze, perché abbiamo bisogno di rimetterci insieme per costruire e manifestare un’idea diversa della società e del Paese».

Cosa ne pensa dell'uscita del Ministro dell'Istruzione che ha definito 'impropria' la lettera della Preside del liceo Leonardo da Vinci di Firenze, Annalisa Savino, sul pericolo di ritorno del fascismo?

«Quello che dovrebbe distinguere una destra democratica da una destra fascista è la violenza. L’attacco di Valditara alla Preside dovrebbe portare il Ministro a chiedere scusa alle studentesse e agli studenti. Un Ministro, che ha giurato sulla nostra Costituzione, non può pronunciare parole simili, il suo impegno dovrebbe essere quello della promozione della scuola repubblicana. Ci sono momenti in cui i politici devono fare un passo indietro».


Partendo da queste considerazioni e dalle sfide che le sottendono, cosa chiede la Fiom-Cgil alla politica e, soprattutto, alle forze che sono all’opposizione del governo delle destre?

«Di applicare l’articolo 3 della nostra Costituzione. Noi abbiamo alle spalle una storia di autonomia e di riconoscimento da parte della politica del ruolo del sindacato, che però scontava il fatto che alla fine era il partito a decidere tutto. Io non voglio dire alla politica cosa deve fare e la politica non deve dirlo a me, tanto meno imporlo. Il punto cruciale è rimettere al centro il ruolo dei lavoratori dentro l’alveo costituzionale dell’articolo 3. Sta qui la valenza della “marcia della dignità” che abbiamo lanciato dal Congresso e che intendiamo realizzare assieme alle altre organizzazioni sindacali, al mondo del mutualismo, dell’associazionismo, dei movimenti. La ripresa della dignità. E per me la dignità sta dentro il riconoscimento del ruolo del lavoro e della funzione della Repubblica, in contrapposizione all’idea della nazione. Repubblica è quella che rimuove gli ostacoli alla piena affermazione dei diritti e delle aspettative delle persone. In questo il nostro è un programma “costituzionale”. Nel rapporto con la politica il punto è questo, oltre alla programmazione di politiche industriali in grado di affrontare la transizione».

Ancora una volta piangiamo decine di vittime migranti per il naufragio del barcone al largo delle coste della Calabria. L’ennesima tragedia a causa di politiche sbagliate.

«Che Paese è quello che non è capace di salvare 200 persone dall’annegamento a pochi metri dalla costa? Sono morti bambini e la nostra umanità: il governo nazionale e le istituzioni europee hanno la responsabilità di impedimentino e omissione di soccorso. La retorica criminale dell’invasione, del blocco navale, dei muri e fili spinati disumanizza la questione migratoria e la riduce a questione criminale ed invece è umanitaria».

La Fiom e la Cgil sono parte integrante e attiva del movimento pacifista. Qualcuno, da tempo uscito di scena, avrebbe detto ma che ci azzecca il sindacato col pacifismo militante?

«Ci azzecca moltissimo. La guerra normalmente cancella la democrazia. E poi c’è l’applicazione dell’articolo 11 della Costituzione, quello che sancisce, nel suo incipit, che “l’'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Ed è importante ricordare che a volerlo sancito nella carta Costituzionale sono i costituenti che uscivano dall’orrore e dalla devastazione della Seconda guerra mondiale. Gli stessi costituenti che pensavano anche a Ventotene, ad Altiero Spinelli, quando ragionavano sull’Europa e sulla rimozione delle ragioni economiche, industriali che portarono alle guerre. Perché all’origine della guerra ci sono sempre le questioni economiche. Fermare la guerra, far tacere le armi. Per questo siamo stati  in piazza nelle iniziative promosse da “Europe for Peace” in questi giorni in occasione del primo anniversario della guerra in Ucraina. Dove c’è guerra non c’è contrattazione. Dove c’è guerra c’è anestesia dei processi democratici. Con queste manifestazioni vorremmo provare a dar voce, sindacale, politica, sociale, culturale, alla maggioranza del Paese che ha una posizione contraria ma passiva in questo momento alla guerra. Non è semplice mettere in fila la relazione tra la condizione economica e sociale del Paese e la guerra. Ma le due cose oggi hanno una stringente, drammatica relazione».

Tags: