Sicurezza sul lavoro: “O ti fermi o muori”

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In questi ultimi anni – in particolare dal 2017 – ha ripreso a crescere il numero dei morti sul lavoro, invertendo una tendenza alla loro diminuzione, faticosamente conquistata nei decenni precedenti grazie alle lotte per la sicurezza e alla relativa legislazione. Possiamo immaginare come la reazione alla crisi sia stata costruita nei luoghi di lavoro attraverso una disapplicazione delle norme di sicurezza, mancati investimenti sulla modernizzazione e sull’organizzazione del lavoro e il ricorso costante ai lavori in subappalto con personale non sufficientemente specializzato e formato. Nello specifico il Veneto della “ripresina” sta contestualmente registrando, rispetto ad altre regioni, un progressivo aumento delle malattie, degli infortuni e delle morti connessi al mondo del lavoro.

Le statistiche riportano numeri raccapriccianti che fanno pensare ai conflitti bellici, ai disastri naturali come i terremoti o alle grandi tragedie nazionali. Ma, a differenza di questi, le morti sul lavoro non generano la stessa reazione emotivo dell’opinione pubblica. C’è una costante distrazione rispetto a questo tema da parte della politica, dei media e del pubblico: oggi quello che non è raccontato non esiste. Per questo è necessario continuare le azioni di sensibilizzazione e mobilitazione che stiamo portando avanti, insieme alle altre organizzazioni sindacali confederali e ai soggetti che presidiano i territori. Certo si è altresì consapevoli che questo non basta: alla prevalente e colpevole disattenzione va opposta una posizione netta che avvii un percorso di crescita collettiva fatta di rapporti diretti, di consapevolezza nelle fabbriche e nelle aziende, di stimolo, perché si generino riflessioni per le quali le morti e gli incidenti non vengano più accettati come ineluttabili, come danni collaterali intrinsechi al sistema produttivo. La sicurezza e la salubrità dei luoghi di lavoro non sono delegabili e vanno presidiate e, per attuare questo processo, i passi necessari sono la formazione dei delegati e delle delegate e la mappatura delle aziende e dei loro processi produttivi e organizzativi. In ogni momento d’incontro non si deve perdere l’occasione di affrontare il tema della sicurezza, non solo come esperti della normativa, ma soprattutto come lavoratori e lavoratrici che vivono le condizioni presenti nei luoghi di lavoro e che si impegnano per provare a cambiare lo stato delle cose. È necessario aumentare gli Rls all’interno delle aree industriali ed estendere il perimetro delle competenze e delle agibilità delle Rsu e nel contempo pretendere gli investimenti e l’applicazione degli accordi contrattuali in materia di sicurezza. La costruzione di alte professionalità sui temi della sicurezza e della salvaguardia delle vite dei lavoratori all’interno dei processi produttivi è diventata materia universitaria e questo è un dato importante: in questa prospettiva, la società civile prende coscienza del dramma e costruisce percorsi di avanzata formazione per creare i futuri responsabili del servizio di prevenzione e protezione (Rspp). Serve integrare l’intelligenza con il saper fare di tutti per riprogettare insieme il sistema di sviluppo e di produzione e per creare quella cultura della sicurezza che deve essere fatta propria da ogni lavoratore e da ogni lavoratrice.

Il contesto lavorativo e l’organizzazione del lavoro sono parti significative del problema ed è necessario analizzarli e avviare elaborazioni di prospettive future per riuscire a cambiare e a migliorare l’assetto delle cose. È opportuno vigilare perché le opportunità di cambiamento offerte, per esempio, dalla tecnologia legata alle dimensioni dell’industria 4.0, da tutti sbandierata come la soluzione di ogni problema, non è sempre quello che sembra. Infatti, in provincia di Padova nelle aziende dove queste nuove tecnologie sono state inserite il risultato è stato l’intensificazione dei ritmi di lavoro e la de-professionalizzazione delle persone, assieme all’aumento del controllo della prestazione lavorativa. Purtroppo, nella realtà dei fatti, le tecnologie che dovrebbero migliorare le condizioni di lavoro e l’alleggerimento dei processi produttivi, in realtà non vengono usate per quello scopo, anzi. La previsione, poi, è tutt’altro che ottimistica: si prospetta il crearsi di filiere sempre più lunghe all’interno delle quali diminuiscono i controlli e aumentano la deregolamentazione del lavoro e l’applicabilità stessa delle tecnologie. Questo porterà a un tale incremento del turn over nelle aziende per cui, i rischi di infortunio per mancanza di conoscenza dei processi, non potranno che aumentare. Il sistema produttivo deve essere modificato perché ha troppa influenza sulla vita dei lavoratori e ha reso troppo alti i costi di sostenibilità sia a livello sociale che di gestione della cosa pubblica, anche alla luce delle iniziative di lotta e delle mobilitazioni globali a difesa dell’ambiente. Noi crediamo che i finanziamenti pubblici alle imprese debbano servire a migliorare la condizione di vita delle persone e non a determinarne il peggioramento; è quindi necessario aumentare lo standard di vivibilità nelle imprese e la compatibilità delle attività produttive con le vite dei singoli e con la comunità.

Sappiamo bene che la legge prevede la formazione obbligatoria, ma sappiamo anche quanto questa sia generica e sia la stessa per qualsiasi luogo di lavoro, e che quando si passa agli approfondimenti specifici, questa formazione non sia null’altro che semplice addestramento con l’aggiunta di implicazioni disciplinari. Non esiste una vera formazione sui rischi, attraverso la quale creare nel lavoratore una coscienza e una conoscenza sulle prospettive a lungo raggio, capacità, quindi, di previsione su quanto potrebbe accadere nel tempo lavorando in determinate condizioni, quali problemi, quali scompensi. I dispositivi di protezione individuale sono fondamentali e sono imprescindibili, ma spesso ci si ferma all’averli indossati, senza ricordarsi il perché si debbono portare, o il fatto che non annullano i rischi, ma li rendono semplicemente accettabili, creando un argine che però potrebbe anche non reggere.

Per ultimo la condizione di ricattabilità dei lavoratori va superata diminuendo la precarietà e le forme di assunzione, rendendo più difficili gli appalti, approvando leggi come la carta dei diritti universali, ripristinando l’articolo 18 e realizzando una legge sulla rappresentanza sindacale. Nella condizione attuale questi punti fondamentali per il progresso della società e per la giustizia sociale sembrano sempre più difficili da attuare, visto che il governo mette sempre più in discussione il ruolo del sindacato. In questo contesto l’effetto di quanto avviene dentro e fuori dai luoghi di lavoro è la perdita dell’idea del lavoro come perno centrale della collettività e della sua qualificazione. Senza dimenticare i tagli ai fondi per la sicurezza sul lavoro: 310 milioni di euro in meno tra il 2019 e il 2021 per le risorse destinate all’Inail per finanziare progetti di investimento e formazione in salute e sicurezza. Una chiara mancanza di considerazione da parte del governo nei confronti delle morti e degli infortuni sul lavoro, una posizione da noi ritenuta inaccettabile, totalmente irresponsabile e inqualificabile per un paese civile.

La lunga scia di infortuni e morti di questi ultimi anni ci ha profondamente cambiati, tutto il gruppo dirigente sindacale è cosciente della situazione: non ci sono luoghi immuni o isole felici, nemmeno dove vengono fatti investimenti mirati. In qualsiasi contesto ci si trovi, sappiamo che la sicurezza e la salubrità del luogo di lavoro dipendono esclusivamente da come esercitiamo il nostro ruolo in azienda. È nostro compito far capire ai lavoratori che “O ti fermi o muori” non è solo lo slogan di una nostra manifestazione, ma è l’unico atto che un lavoratore dipendente può compiere, un atto di libertà che può ridare senso e dignità al lavoro.

 

*Segretario generale Fiom Padova

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