Tunisia: a che punto è la rivoluzione dei gelsomini?

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Sono passati quasi sei anni da quando, nel dicembre del 2010, il suicidio di Mohammad Bouazizi, giovane ambulante in una delle regioni più povere della Tunisia, fece esplodere quella sollevazione popolare che in meno di un mese pose fine alla dittatura di Zine el-Abidine Ben Ali. La chiamarono rivoluzione dei gelsomini e se per il nord Africa segnò l’inizio delle cosiddette Primavere Arabe, per la Tunisia inaugurò una transizione democratica tutt’altro che facile, e vide protagonista una società civile eccezionalmente partecipe, mobilitata dall’intero ventaglio delle organizzazioni sindacali. In particolare l’UGTT, forte di oltre 700.000 membri, si affermò come più efficace mediatore tra le diverse forze in campo nel cosiddetto Tunisian National Dialogue Quartet. Per il ruolo di conciliazione mantenuto in tutte le fasi della transizione, dai momenti immediatamente successivi ai moti di gennaio 2011 ai vari step di stesura della nuova Costituzione, ricevette nell’ottobre del 2015 il Premio Nobel per la pace.


Purtroppo, nonostante le positive premesse, l’attuale quadro socio-economico in Tunisia non è affatto roseo. E la partita più difficile resta il lavoro, o meglio la sua assenza, la sempre più grave e diffusa disoccupazione. Ne abbiamo discusso con Naoel Jabbes (delegata dell’UGTT) e con Sabina Breveglieri (Ong NEXUS Emilia Romagna, impegnata su progetti di Economia Sociale Solidale in Tunisia) all’interno del Convegno ‘Mondi in Movimento’ recentemente tenutosi a Bolzano (Castel Mareccio, 21-24 settembre).

 

E allora, a che punto è la situazione in Tunisia, rispetto alle aspettative create dalla cosiddetta Jasmine Revolution…

 

Naouel Jabbes - Molto si è fatto, moltissimo resta da fare. Il dibattito all’interno dell’Assemblea Costituente (NDA) negli anni immediatamente successivi la rivoluzione ha evidenziato la forza e volontà di partecipazione al processo di democratizzazione, di una società civile e progressista che non avrebbe eguali in tutto il Nord Africa, anche perché ha una lunga storia. Andrebbero ricordate le misure adottate sul fronte delle libertà personali già dai tempi di Bourghiba: eguaglianza tra uomini e donne, abolizione della poligamia, diritto al divorzio e all’eredità anche per le donne. E sul fronte del lavoro: la Tunisia è stato il primo stato islamico ad abolire la schiavitù e ad avere una Costituzione già dalla seconda metà dell’800; e a istituire dei sindacati nei primi del ‘900, fino ad arrivare nel 1946 alla UGTT, fortemente influenzato dalla combattiva esperienza di sindacalismo francese. Quanto alla situazione presente: è difficile perché le aspettative di cambiamento create con la rivoluzione del 2011 dopo la cacciata di Ben Ali, non hanno trovato riscontro nella realtà. E la disoccupazione resta il problema più grosso, a tutti i livelli: nelle campagne, sempre più in via di spopolamento (e quindi con flussi che aggravano la pressione sulle città e lungo le coste, per non dire l’emigrazione verso l’Europa); e nei centri urbani, dove il problema è particolarmente drammatico per i tantissimi giovani che hanno studiato, che avrebbero delle competenze e per i quali l’unico sbocco possibile continua ad essere la Pubblica Amministrazione. Ma come si fa a sistemare tutti con posti di lavoro inesistenti? Per di più, a seguito delle varie turbolenze e attentati, il settore Turistico (che da solo generava il 15% del PIL e il 14% dell’occupazione) ha sofferto parecchio, molti alberghi hanno chiuso e tutto l’indotto di artigianati, mercati, servizi è allo sbando.

 

A proposito di disoccupazione giovanile, tu stessa (Sabine Breveglieri) hai fotografato in un tuo recente articolo una situazione esplosiva, una semi-intifada…

(http://www.nexusemiliaromagna.org/news/show/title/intifada-e-economia-sociale-e-solidale-in-tunisia-di-sabina-breveglieri/section/161

 

Sabina Breveglieri - I media italiani ne hanno parlato pochissimo, ma durante gli scorsi mesi varie regioni della Tunisia sono state di nuovo teatro di proteste durissime. A cominciare da quelle esplose in gennaio a Kasserine, una delle regioni più povere; e culminate con l’ennesima immolazione di un giovane 27enne, Ridha Yahiaoui, morto fulminato su un palo della luce, dove era salito per denunciare l’annullamento di una lista di impiego, per il quale si era candidato. Scontri di polizia, lacrimogeni, volti coperte dalle kefie, coprifuoco, città messe a ferro e fuoco per giorni, sembrava di essere tornati ai moti del 2010/2011, ma senza il coordinamento dei sindacati, peraltro presi di sorpresa. Altri incidenti si sono ripetuti in Aprile nell’isola di Kerkennah quando 300 giovani si sono visti annullare la promessa di assunzione presso una compagnia petrolifera. Ma mentre le proteste del 2011 contro Ben Ali erano proteste partecipate dalla società civile e coordinata dall’intero ventaglio delle organizzazioni sindacali, le proteste attuali sono manifestazioni di rabbia pura, verso un “nizam” (sistema) che nessuno in effetti sembra voler cambiare. E non sono mancati i tentativi di attribuire questi moti a chissà quali forze ostili al processo democratico, mentre il problema vero è che oltre a soffrire per la mancanza di lavoro, i giovani tunisini si trovano a combattere con uffici che sono un ginepraio di corruzione. La burocrazia tunisina, l’assenza di un quadro legislativo in grado di accogliere quelle proposte di Economia Sociale e Solidale (che anche noi come ONG NEXUS cerchiamo di promuovere) sono il vero problema della Tunisia.

E’ molto triste dover raccontare il fallimento di istanze di rinnovamento, che nonostante le speranze e le premesse messe in moto con la rivoluzione dei gelsomini (nonostante il Premio Nobel conferito nel 2015 al cosiddetto ‘quartetto’), non stanno trovando riscontro. Ma ancor più triste è registrare il crescente successo di un particolare Sindacato, che si chiama appunto Sindacato dei Diplomati Disoccupati (UDC, Union de Diplomés chomeurs) e che rappresenta già il 30% del totale dei disoccupati! Su 600,000 disoccupati (il 15% della popolazione tunisina, che in certe zone può diventare il 30%!), 240.000 giovani tunisini dotati di un titolo di studio non trovano lavoro. Tra loro il 22,2% sono donne, e ‘solo’ l’11,4% uomini.

 

E in che modo la Cooperazione può mitigare questa situazione? Nel concreto, in che modo una Ong come NEXUS, dall’Emilia Romagna (o altre iniziative simili, dall’Italia, dall’EU o targate ILO) possono contribuire alla soluzione?

 

Naouel Jabbes - Il progetto di legge che vede attualmente impegnato l’UGTT ribadisce la fiducia in un modello di crescita alternativo a quello liberista, in grado di risolvere lattuale vicolo cieco tra disperazione e assistenzialismo, riattivando al meglio le migliori risorse del nostro capitale umano, con lobiettivo di affermare quei valori di giustizia, parità di trattamento e opportunità per tutti, che erano le premesse della Rivoluzione dei Gelsomini, e che non possono restare solo promesse. E’ quindi una proposta di Economia Sociale Solidale molto ampia, articolata in 53 articoli, per la cui stesura si sono impegnati numerosi giuristi, esperti del settore, consulenti - e per la cui attuazione bisognerà scommettere su quelle minime qualità imprenditoriali, non ancora completamente soffocate dopo decenni di assistenzialismo e demoralizzazione. Ma come giustamente ha fatto notare il segretario generale dell’UGTT, Mouldi Jendoubi, quando lo scorso maggio ha annunciato questo disegno di legge, la condizione sine qua non per la sua attuazione sarà una revisione delle norme che regolano il lavoro in Tunisia… perché è lì che si determina la difficoltà. L’attuale quadro legislativo tunisino non prevede l’esistenza di cooperative, o forme equivalenti di impresa sociale, alle quali fornire strumenti specifici, per esempio fiscali, o di credito, tali da facilitare il successo di una start up in tutte le sue fasi. Esiste una miriade di organizzazioni, di giovani, donne, apprendisti, musicisti, artisti ecc. che magari spontaneamente si incontrano, progettano e sicuramente sarebbero (se adeguatamente supportati) una forza propulsiva… e però restano persone che si incontrano intorno a un’idea, non essendo prevista quella formula di cooperativa tale per cui dall’idea si passa al business plan, e quindi al credito, alla sede operativa, di produzione, distribuzione o altro, in modo tale da rendere tutto questo lavoro monetizzabile, in un salario minimamente decente. L’alternativa è tra essere imprenditori (e con balzelli e paletti tali da incoraggiare l’evasione, non a caso in crescita insieme all’esercito del lavoro informale), oppure bussare alle varie porte della Pubblica Amministrazione, che in effetti dal 2011 a oggi ha continuato ad assumere - ma solo per calmierare la tensione, a prezzo però di un debito pubblico che dal 40% è salito al 52%. Per non dire dei casi in cui il lavoro ci sarebbe ma non ci sono i candidati, a causa dell’arretratezza generale del contesto, e alludo ai numerosissimi ambulatori nelle tante zone arretrate dell’interno o del sud-Tunisia, impossibilitati ad operare perché i medici non ci vogliono andare… E anche su questo fronte, per esempio sulla crescita della mortalità infantile, bisognerebbe urgentemente ragionare. Ma alcuni esempi di ESS già attuati con successo, sono realmente confortanti e ci dicono che quella è la direzione: casi in cui la valorizzazione del lavoro delle donne, per esempio nel settore agricolo, è stata la chiave per trasformare condizioni di alienante auto-sfruttamento in volano di sviluppo per intere comunità, articolandosi all’interno di un progetto che alle mansioni già fin troppo note e ripetitive, aggiunge la dimensione della messa-in-rete e quindi dell’emulazione, condivisione di competenze, per arrivare alla scolarizzazione, che per tutte è fonte di immensa soddisfazione, il punto di arrivo. E’ la storia per esempio di alcune mungitrici, che abbiano seguito nelle fasi di contatto con vari caseifici, fino a farle incontrare con un imprenditore italiano che con il loro latte produce ora squisite mozzarelle; o anche la storia di donne che da sempre raccoglievano erba ‘alfa’ per farne corde, cestini ecc e grazie al nostro supporto hanno trovato dei canali di distribuzione. Su alcune di queste storie la regista italiana Carlotta Piccinini ha realizzato nel 2014 un bel documentario, dal titolo Eco de femmes, da vedere!

 

Sabina Breveglieri - NEXUS Emilia Romagna è stata fin dall’inizio partner di questa progettazione in termini di ESS in Tunisia. E confermo quanto detto da Naouel, le potenzialità, a livello non solo di bisogni sul terreno, ma anche di ideazione, creatività, qualità dei “portatori di progetto” (considerato appunto il livello di istruzione di moltissimi giovani disoccupati) sarebbero tantissime. Il capitale umano della Tunisia è enorme, peccato che manchino le leggi. Ora speriamo nella velocità di approvazione della proposta presentata da UGTT. La stessa UTICA (Union Tunisienne Industrie, Commerce, Artisanat) si è espressa favorevolmente, benché ancorata all’idea che il lavoro dipende dagli investimenti (e quindi fautrice di un modello liberista, piuttosto che cooperativo). Fino ad ora devo personalmente riscontrare una situazione molto frustrante per tutti, persino per organizzazioni come la nostra abituate a seguire con immensa pazienza tutti i momenti preliminari ed intermedi rispetto al prioritario obiettivo di job creation, e quindi attente alle fasi di avviamento del progetto, formazione, accompagnamento, in un’ottica di trasferimento di competenze, che renda possibile la replicabilità spontanea, di esperienze di Economia Sociale e Solidale, con o senza la nostra assistenza. Ma ho visto talmente tanti casi di progetti bellissimi, fattibili e persino remunerativi sulla carta, e poi ostacolati per i più incomprensibili motivi, che posso solo dire: speriamo in bene! Speriamo che questo disegno di legge venga approvato e non solo formalmente, ma nel concreto dei dispositivi, incentivi, strumenti necessari alla sua attuazione. E soprattutto auguriamoci che tutto questo avvenga in tempi brevi, perché la situazione economica della Tunisia è già così emergenziale che si parla di default, addirittura dal 2017! Un default adesso comporterebbe delle misure di austerità nefaste, in un contesto sociale così provato. Speriamo che sia solo una minaccia…

 

Per non dire del crescente numero di giovani tunisini che vanno ad ingrossare le fila dell’ISIS…

 

Sabina Breveglieri - Sì, questo è tra tutti il dato più preoccupante. Sono ormai parecchie migliaia (si parla addirittura di 7000!) i giovani tunisini passati nelle fila della Jihad, la Tunisia figura anzi ai primi posti tra i paesi di reclutamento. E come stupirsi? Uno stipendio mensile medio (ammesso di trovarlo) si aggira sui € 300, molto meno in caso di salario minimo. L’offerta-ISIS garantisce € 3.000 al mese, oltre all’assistenza a vita per la famiglia del combattente, in caso di morte. Per me che vado spesso in Tunisia, nelle città come nelle più sperdute zone dell’interno, è sconfortante confrontarmi con queste legioni di ‘morti viventi’ (perché è così che si definiscono loro stessi): sia che rimangano nell’attesa di un lavoro che potrebbe non arrivare mai; sia che si risolvano per la Jihad, con la non remota prospettiva di farsi ammazzare… la vita per loro è comunque ‘mortale’, terribile! E andrebbe sottolineato anche l’aspetto non solo mercenario di questa adesione alla Jihad, perché nella sua vocazione dittatoriale e autoritaria, Ben Ali era riuscito a sopprimere quelle venature di islamismo militante, radicale, salafita - che con la Rivoluzione dei Gelsomini si sono sentite autorizzate a riaffiorare, via via affermandosi come proposta identitaria, culturalmente rassicurante, in un contesto di crescente frustrazione ed incertezze. Situazione davvero preoccupante quella Tunisina, che richiede tutta la nostra attenzione.