Stress il rischio nascosto dei metalmeccanici

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tetsuya-ishida

Si definisce stress da lavoro-correlato una situazione di prolungata tensione causata da diversi fattori lavorativi che può determinare problemi di salute fisica e psicologica. Sebbene più difficile da definire e da misurare, lo stress da lavoro-correlato è a tutti gli effetti uno dei fattori di rischio, al pari di altri più immediatamente percebili, come quelli ambientali, fisici, chimici etc. Peraltro, il rischio stress da lavoro-correlato è per sua natura strettamente connesso all'organizzazione del lavoro e quindi a temi decisivi nella azione sindacale, come i tempi, i ritmi, gli orari, il controllo della prestazione, le relazioni gerarchiche. Fattori che con il tempo possono comportare danni anche gravi alla salute psicologica, aumentando peraltro anche il rischio di incidenti. Non molto indagato ma verosimilnte importante, è inoltre l'impatto che questo tipo di rischio può determinare sulla salute e sulla capacità riproduttiva di lavoratori e lavoratrici.

Dal 2008, con il d.lgs 81 è stato introdotto l'obbligo per tutte le aziende di effettuare la valutazione anche di questo fattore di rischio, come per tutti gli altri. A seguito di tale obbligo, nel 2010 la Commissione Consultiva permanente per la salute e la sicurezza ha delineato le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato.

Tuttavia, a tre anni dall'emanazione di tali indicazioni, il bilancio di quanto è stato fatto è purtroppo assai deludente. E' stato questo, il tema di una indagine promossa dalla Fiom insieme alla Fondazione Trentin e presentata il 31 marzo a Roma, nella quale sono stati intervistati 237 Rls tramite un questionario che puntava a indagare se e come è stata eseguita nella azienda in cui lavorano la valutazione del rischio stress.

I risultati confermano che il processo di rilevazione del rischio stress in Italia ha registrato moltissimi problemi, che vanno dalla mancata o insufficiente rilevazione (una azienda su tre, nonostante l'obbligo di legge, non l'ha proprio fatta) allo scarso o mancato coinvolgimento dei lavoratori e degli Rls, dalle procedure non corrette o incomplete all’inesistenza di un monitoraggio diffuso, sistematico e partecipato. Così che soltanto in 8 casi su quelli analizzati, il risultato della valutazione ha evidenziato condizioni di rischio alto o medio-alto di stress.

Di fatto, dalle rilevazioni ufficiali sembrerebbe che il rischio stress è alto soltanto in pochissimi casi, tanto che l'Italia risulterebbe sotto questo aspetto particolarmente "virtuosa" in confronto agli altri paesi europei. Come se - incredibilmente - il rischio stress nelle fabbriche italiane non esistesse.

Decisamente un dato "non credibile", per il nostro settore di certo, ma anche per moltissimi altri, dove pure le condizioni di lavoro e gli ambienti fisici sono assai diversi, ma il rischio stress verosimilmente simile, basti pensare soltanto per fare alcuni esempi alla grande distribuzione commerciale, alla sanità, alla scuola, ai trasporti.

Il punto vero non è che in Italia il rischio stress non esiste, ma piuttosto che la valutazione è stata fatta in modo tale da non fare emergere le reali condizioni di lavoro, così che quella che poteva essere una cosa utile (l'obbligo della rilevazione) rischia di rivelarsi persino controproducente.

Rispetto al mondo metalmeccanico basta a smentire questo quadro ricordare che, quando la Fiom promosse l'inchiesta sulle condizioni di lavoro e di vita delle lavoratrici e dei lavoratori metalmeccanici con oltre 100mila questionari, i risultati che emersero furono, purtroppo, completamente diversi, in particolare proprio su tutti quegli elementi fortemente correlati al rischio stress (orari e organizzazione del lavoro, salute e sicurezza, rapporti all'interno dei posti di lavoro). Leggi l'approfondimento: "L'inchiesta della Fiom sulle condizioni di vita e di lavoro. Il rischio stress visto attraverso le risposte di 100mila metalmeccaniche e metalmeccanici".

Da allora sono passati sei anni di crisi. Le condizioni di lavoro non sono certo migliorate, perchè sono stati ancora meno gli investimenti delle aziende nell'innovazione e nella sicurezza e, a causa anche delle riforme passate in questi anni, è aumentato per tutti il senso di incertezza e la ricattabilità all'interno dei posti di lavoro. Se quindi già nel 2007 l'inchiesta della Fiom restituiva una fotografia del mondo del lavoro metalmeccanico così fortemente esposto al "rischio stress", soltanto un folle potrebbe pensare davvero che oggi la situazione sia migliorata e che le aziende metalmeccaniche abbiano deciso di investire sull'organizzazione del lavoro - proprio durante la crisi - tanto da eliminare o quasi il rischio stress per i loro dipendenti.

Se avessimo modo di riproporre oggi le stesse domande del 2007 e permettessimo come allora che a rispondere siano direttamente i lavoratori e le lavoratrici, in modo anonimo e non condizionato - e non lasciare che a rispondere sia l'Rspp o il caporeparto o chiunque nominato dall'azienda come è stato invece nella valutazione del rischio stress - è davvero poco probabile che ci troveremmo di fronte agli stessi incredibili esiti della valutazione ufficiale, secondo la quale l'Italia è la sola in Europa per la quale il rischio stress nelle fabbriche semplicemente non esiste.