Giovedì, 25 Aprile 2024

Come e perché siamo arrivati a un referendum sulle trivellazioni

La ricerca di idrocarburi nel nostro Paese non ha mai destato particolare interesse. A memoria, gli argomenti ciclici più gettonati sono sempre stati le crisi invernali del gas, il calo del costo del barile, l’aumento dei carburanti e l’aggiunta graduale delle accise sulla benzina. Negli ultimi 15 anni se n’è parlato talmente poco, e spesso male, tanto da renderlo un tema improponibile per un referendum. Invece, la centralità acquisita dalle vicende gassifere e petrolifere nel dibattito nazionale – ma soprattutto nell’agenda politica degli ultimi governi – ha rappresentato un punto di svolta. Nella storia della Repubblica italiana un referendum sulle trivellazioni non c’è mai stato. Oggi, invece, non solo ci sarà un referendum, ma lo stesso rappresenta un'opportunità per portare al centro di una discussione più ampia le scelte energetiche intraprese negli ultimi decenni. E cercare di sostenere alternative plausibili.

Il percorso avviato da comitati e movimenti, intrecciatosi con leggi dello Stato e colpi di mano normativi, merita di essere raccontato.

Anche per capire da dove arriva il quesito referendario che i cittadini italiani dovranno valutare e votare. Ovvero, quello relativo ai progetti di estrazione di idrocarburi già autorizzati entro le 12 miglia marine dalla costa. Poco più di 22 chilometri dalla spiaggia. Che dovranno andare avanti o non andare avanti “per tutta la durata di vita utile del giacimento”.

La storia è questa. Sintetizzata nei minimi termini. Ad aprile 2010 esplode la piattaforma Deepwater Horizon della Bp nel Golfo del Messico. L’allora ministro all’Ambiente, Stefania Prestigiacomo a giugno dello stesso anno vieta le attività petrolifere lungo tutta la fascia costiera italiana portando il limite di interdizione da 5 miglia (poco più di 9 chilometri) a 12 miglia. Nel 2012, con l’articolo 35 del decreto “Sviluppo”il ministro allo Sviluppo economico, Corrado Passera, decide di azzerare il decreto Prestigiacomo sbloccando tutte le autorizzazioni concesse alle compagnie petrolifere fino al 2010. Quella che ho definito una “sanatoria”. Un condono, insomma.

Il 2012 è stato anche l’anno della Strategia energetica nazionale. Una serie di linee guida sbilanciate verso il rilancio delle attività fossili lungo tutta la Penisola, con il carattere della strategicità. Ed è proprio l’aggettivo “strategico” che ci conduce al governo Renzi, il quale nel 2014 converte in legge il decreto “Sblocca Italia”. Che rende strategiche, urgenti ed indifferibili tutte le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi ed opere connesse, trasferendo il potere decisorio in materia dalle Regioni allo Stato. Per dire, qui decido io. Agli inizi del 2015 Abruzzo, Calabria, Campania, Lombardia, Marche, Puglia e Veneto impugnano lo “Sblocca Italia” dinanzi la Corte Costituzionale. A settembre, invece, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto depositano in Cassazione 6 quesiti referendari con oggetto l’abrogazione di alcune parti dell’articolo 35 del decreto “Sviluppo” (quello di Corrado Passera) e dell’articolo 38 dello “Sblocca Italia”, cercando di riappropriarsi del potere decisorio in materia di energia, stravolgendone l’impianto normativo. Lo ottengono in parte. Di fronte a questa mossa, infatti, il Governo approva un emendamento alla Legge di Stabilità modificando alcune norme oggetto dei 6 quesiti referendari. La Cassazione ne prende atto ed accetta solo 1 dei 6 referendum. Quello che la Corte Costituzionale il 19 gennaio ha ammesso a consultazione del cittadini.

La partita non è affatto chiusa. Lunedì 25 gennaio Marche, Basilicata, Liguria, Marche, Puglia, Sardegna e Veneto solleveranno conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento cercando di riabilitare i referendum dichiarati inammissibili. Dopodiché sarà tempo di campagne. Compresa quella per il referendum costituzionale che a ottobre ci porterà ad esprimerci sulla modifica del titolo V della Costituzione su cui Renzi punta molto. E grazie al quale potrebbe riacquisire potere decisorio esclusivo su trivelle e progetti energetici lungo la Penisola. Per inciso. Referendum o non referendum oltre le 12 miglia dalla costa ed in terraferma resta tutto invariato. In questi ambiti si continuerà senza sosta verso il sogno italiano. Raggiungere l’impossibile indipendenza energetica.

In un articolo apparso sul “Corriere della Sera” 24 anni fa si diceva che “a causa della particolare struttura geologica, in Italia la ricerca di idrocarburi ha fornito spesso forti delusioni: pozzi che promettevano copiosi zampilli di oro nero, si sono rivelati in molti casi, dopo i primi potenti spruzzi, fonti esaurite”. Basti pensare alle grandi promesse non mantenute in Abruzzo, in Pianura Padana o nel Mare Adriatico. Risorse raggiungibili poche e di scarsa qualità. Il gioco non vale la candela. Esattamente quello che in questi giorni alcuni sindacati ed una minoranza del Pd hanno ricordato al premier.

 

http://www.wired.it/attualita/ambiente/2016/01/21/trivelle-petrolifere-referendum-notriv/

 

da Wired Italia

La Fiom è il sindacato delle lavoratrici e lavoratori metalmeccanici della Cgil

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